La natura e l'uomo

Un'Europa di foreste

Nel Medioevo la natura era dominante. Il paesaggio dell'Europa medievale, infatti, era del tutto differente da quello di oggi. Molti luoghi dove oggi ci sono campi coltivati, strade, città, erano coperti di alberi e di vegetazione spontanea. La foresta si estendeva su gran parte della superficie dell'Europa. I campi coltivati e le terre abitate avevano infatti un'estensione molto piccola, rispetto a quella di boschi e foreste.
La vita non era facile. Dopo la caduta dell'Impero romano, tutta l'Europa si era impoverita. Le città si erano spopolate per effetto dei saccheggi operati dagli invasori. La maggior parte delle persone era andata a vivere nelle campagne, più sicure. Le antiche strade romane, che per secoli avevano assicurato spostamenti rapidi e abbastanza sicuri, erano rovinate perché prive di manutenzione.

Le risorse del bosco

La foresta era una grande riserva di cibo e di risorse per l'uomo medievale. Innanzi tutto forniva la legna, che serviva per riscaldarsi, per cucinare e per costruire case, attrezzi da lavoro di uso domestico, recinzioni dei campi. Gli alberi fornivano anche foglie secche da bruciare nei camini o da usare per imbottire i materassi.
Nei boschi si raccoglievano castagne e noci, bacche e funghi; le api selvatiche fornivano miele. Noi, oggi, consideriamo questi prodotti molto gustosi, ma non certo necessari per la sopravvivenza. Invece erano essenziali per i contadini medievali, che spesso avevano ben poco altro da mangiare, specialmente in periodi di carestia.
Infine il bosco era anche un ottimo terreno di pascolo per gli animali domestici, in particolare per i maiali, che si cibavano delle ghiande delle querce.

Gli animali della foresta

La foresta era il regno degli animali selvatici. Oltre a cinghiali, lepri, cerbiatti, che ancora oggi vivono nei nostri boschi, si incontravano orsi e lupi. Questi due animali facevano molta paura, perché erano divoratori non solo di greggi ma anche di uomini. Le aggressioni dei lupi e degli orsi erano considerate calamità naturali, come i terremoti o la grandine. Erano cioè flagelli mandati da Dio agli uomini.
La caccia era un modo per liberare l'uomo da questi pericoli.
Serviva però soprattutto a rifornire le tavole di selvaggina, che a quel tempo era molto apprezzata. Fra i volatili, erano cacciati non solo fagiani, quaglie e pernici, ma anche pavoni, cigni, cicogne e gru. Cigni e pavoni erano apprezzati per il loro magnifico aspetto e, sulle tavole dei nobili, venivano serviti in modo molto appariscente, cioè con i becchi e le piume, in modo da farli sembrare ancora vivi.

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Il pascolo dei maiali


Il pascolo dei maiali (tavola tratta dal Tacuinum sanitatis, XV secolo).

I maiali medievali avevano un aspetto diverso rispetto ai nostri. Erano simili a cinghiali, con il pelo lungo e di colore scuro. Avevano il muso allungato, con due piccole zanne sporgenti.

Le ghiande, che sono i frutti della quercia, erano il principale alimento dei maiali.

Il lungo bastone del porcaro aveva molte funzioni. Era utile per tenere unito il branco di maiali e per dirigerlo. Inoltre serviva a battere i rami delle querce per far cadere le ghiande. Infine poteva essere un'arma di difesa in caso di brutti incontri (per esempio un lupo o un orso).

Il porcaro era il pastore dei maiali. Li conduceva al pascolo, sorvegliandoli affinché non sconfinassero nei campi coltivati o, in autunno, non mangiassero le castagne (che erano destinate all'alimentazione umana). Nel Medioevo un porcaro guadagnava più di ogni altro pastore, proprio per il valore economico dei maiali.

La selvaggina è solo per i nobili

La caccia in un primo tempo era libera, così che tutti, anche i contadini, la praticavano. Dalle popolazioni germaniche (come dagli antichi romani) la selvaggina era considerata un «bene di nessuno» o, meglio, di chi se ne impadroniva per primo.
Per i nobili la caccia era una specie di allenamento alla guerra: per questo motivo fu amata da re e imperatori. Essi praticavano soprattutto la caccia a grosse prede, come cervi, daini, caprioli, lupi, cinghiali e orsi. Era quindi un'attività pericolosa, che richiedeva forza fisica e abilità nel maneggiare le armi . Per questo motivo, era considerata un buon addestramento ai combattimenti. Ma, per la nobiltà, la caccia era anche un'«arte»: infatti diversi signori, anche ecclesiastici, scrissero libri sulla caccia.
Verso l'XI secolo la caccia diventò sempre più un privilegio di pochi, che la praticavano in spazi riservati a uso esclusivo del re o della nobiltà. Ai contadini fu a poco a poco vietata. I bracconieri, cioè coloro che la praticavano nonostante i divieti, furono condannati a punizioni gravissime, anche alla morte. Le famiglie contadine, di conseguenza, persero la possibilità di portare di tanto in tanto un po' di carne in tavola. La loro alimentazione diventò così ancora più scarsa e povera di sostanze nutritive.

La caccia con il falcone

La caccia con il falcone fu un passatempo amato da nobili e re. Il falcone era addestrato alla cattura e al riporto delle prede, che in genere erano uccelli e mammiferi di piccola taglia. I cacciatori prima snidavano l'uccello da cacciare facendolo alzare in volo e poi liberavano il falcone, che piombava sulla preda uccidendola con gli artigli.
L'addestramento di un falcone richiedeva moltissimo tempo. I movimenti rapidissimi e la natura selvaggia di questo uccello rapace rappresentavano una sfida per il «grande falconiere», l'uomo che aveva il compito di addestrarlo. Il grande falconiere era uno dei personaggi più importanti della corte e aveva ai suoi ordini centinaia di persone.
Nel Medioevo furono scritti libri sul modo di addestrare i falconi e usarli nella caccia. Uno dei più importanti, dal titolo L'arte di cacciare con gli uccelli, fu scritto da un grande imperatore, Federico II (1194-1250).

Dalla legna al carbone

Il bosco era importante anche per un altro motivo: con la legna si produceva il carbone. La legna, tagliata in pezzature di un metro di lunghezza circa, era accatastata, ricoperta di foglie e terra, e poi accesa. La lenta «cottura» della legna, con poco ossigeno, controllata dal carbonaio ininterrottamente giorno e notte per quindici giornate, determinava la trasformazione del legno in carbone. Questo era poi utilizzato nelle officine dei fabbri o nelle case come combustibile.

La siderurgia

La legna e il carbone di legna favorirono il graduale sviluppo della siderurgia, ossia delle tecniche per lavorare i metalli. I minerali di ferro erano fusi con carbone di legna dentro i forni, dove un fuoco sempre acceso permetteva di raggiungere alte temperature. L'esperienza dei fabbri dell'antica Roma non andò perduta nel Medioevo. Anzi la lavorazione del ferro trasse profitto dalla richiesta di armi e attrezzi. Le lunghe spade usate in battaglia, le scuri da guerra, i pugnali erano prodotti nelle officine metallurgiche, in genere situate nelle vicinanze di boschi e di corsi d'acqua. Acqua e legna erano infatti indispensabili per fare funzionare i forni e le fucine.

IL SANTO CHE FERRAVA I CAVALLI

Nel Medioevo ogni mestiere aveva un suo santo protettore.
I maniscalchi (artigiani che mettono i ferri agli zoccoli dei cavalli) pregavano sant'Eligio, in virtù di un racconto leggendario.
Eligio avrebbe stretto con molle di ferro ardente il naso del diavolo, che si ostinava a indurlo in tentazione. Secondo un'altra leggenda medievale, per semplificare l'operazione di ferratura del cavallo, egli era solito staccare la zampa del cavallo e, una volta fissato il ferro allo zoccolo, la riattaccava.
Sant'Eligio era anche protettore degli orefici, perché realizzò preziosi oggetti d'oro per il re di Francia, che lo ricompensò nominandolo consigliere di corte.

Questa miniatura del XV secolo raffigura sant'Eligio che mette il ferro allo zoccolo, dopo aver staccato la zampa del cavallo.

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