L’Italia dei liberi comuni

Il ritorno delle città

Dopo l’anno Mille, come abbiamo visto, le città tornarono a popolarsi e a svilupparsi. Nelle città si affermò un nuovo gruppo sociale: la borghesia. Era composta da mercanti, artigiani, banchieri e professionisti (medici, giudici e notai). Queste persone non ricavavano la loro ricchezza dal possesso della terra (come invece facevano i feudatari), ma dal loro lavoro. A quel tempo la borghesia era chiamata «popolo». Con questa parola non si indicava, come oggi, l’intera popolazione di una città o di una nazione, ma soltanto gli abitanti delle città che esercitavano i mestieri elencati sopra.

Borghesi, nobili e tantissimi poveri

I borghesi, però, costituivano solo una parte della popolazione della città. C’erano poi i garzoni di bottega, i piccoli commercianti che gestivano le botteghe cittadine, i lavoratori manuali pagati a giornata (per esempio i muratori, gli scaricatori di porto, ecc.), i domestici e gli ultimi nella scala sociale, cioè i mendicanti, gli invalidi, i poveri e i vagabondi, che a quel tempo erano numerosissimi. C’erano anche famiglie nobili che possedevano terre nelle campagne, dalle quali ricavavano ingenti ricchezze, ma che erano venute a vivere in città. Questi nobili, in genere, comandavano le milizie cittadine, cioè i soldati che avevano il compito di difendere la città da eventuali attacchi di nemici.

Nasce il comune

Nell’XI secolo le città italiane erano governate da un vescovo oppure da un signore che applicava le leggi, riscuoteva le tasse e amministrava la giustizia in nome dell’imperatore. A mano a mano però che le città si sviluppavano economicamente, i cittadini più ricchi sopportavano sempre meno l’autorità del signore. Essi volevano discutere e decidere le questioni che interessavano la città. In pratica volevano governarsi da soli. Essi, infatti, facevano questo ragionamento: «Noi, con il nostro lavoro, rendiamo ricca la città. Con il nostro denaro paghiamo la costruzione delle strade, delle fontane, delle mura. Perché, allora, non possiamo partecipare al governo della città? Perché non possiamo decidere come impiegare i soldi delle tasse, oppure quando fare la guerra o la pace?». Per questo motivo essi si allearono, promettendo, con un solenne giuramento, di aiutarsi a vicenda. L’associazione dei cittadini, che comprendeva mercanti e artigiani, nobili ed ecclesiastici, prese il nome di comune.

I comuni in Italia

Nell’Italia centrale e settentrionale i comuni si affermarono fin dalla seconda metà dell’XI secolo. Si diffusero più che in altre parti d’Europa, perché incontrarono meno resistenza da parte dei signori. Spesso, infatti, i comuni italiani nacquero grazie a un accordo tra i cittadini e il signore laico o il vescovo. Soltanto in pochi casi si ebbero vere ribellioni contro il signore della città. Inoltre, in Italia, i comuni ottennero l’appoggio dei papi, che cercavano un alleato utile a contrastare il potere dell’imperatore. Come ricorderai, infatti, in questo periodo papato e impero erano in contrasto per la questione delle investiture (capitolo 7).


Dipinto su tavola che rappresenta il governo comunale (la figura in centro) che fa giustizia, mettendo fine alle liti tra cittadini (rappresentati dalle figure più piccole, in basso).

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I comuni italiani
La carta mostra i comuni nati in Italia nell’XI e XII secolo, con la data della loro istituzione.
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In quali delle attuali regioni italiane si trovano le città che, per prime, diventarono liberi comuni nel Medioevo?

La maggior parte dei comuni si trova in:
Pianura padana (cioè lungo il Po).
Veneto.
Italia centrale.

L’assemblea comunale

I cittadini si riunivano in assemblee per discutere dei problemi della città e per prendere le decisioni più opportune. Le libertà che i comuni volevano ottenere consistevano nel diritto di fare le leggi, di riscuotere le tasse, di organizzare le milizie cittadine, di aprire mercati e di coniare una propria moneta. All’assemblea cittadina, chiamata arengo, non partecipavano tutti i cittadini, ma soltanto quelli che avevano un certo reddito, cioè una certa ricchezza. Inoltre ne erano esclusi le donne e coloro che non professavano la religione cristiana (per esempio gli ebrei). Nonostante queste restrizioni, l’arengo era troppo numeroso per funzionare: non si poteva convocare l’assemblea cittadina ogni volta che bisognava prendere una decisione, perché troppe persone insieme fanno confusione e non riescono a decidere in breve tempo. Perciò l’arengo fu sostituito da un più ristretto Consiglio comunale, di cui facevano parte solo alcuni cittadini, eletti in rappresentanza di tutta la popolazione.

Che cosa decidono i cittadini?

Nell’assemblea cittadina, e poi nel Consiglio comunale, si votava la nomina del vescovo e dei preti delle diverse chiese, i quali avrebbero poi dovuto ottenere la conferma ufficiale del papa. Si discuteva di come amministrare i beni comuni, cioè i pascoli, alcuni campi e i boschi intorno alla città. Si provvedeva alla manutenzione delle strade e delle mura. Si fissavano regole per l’igiene, come la costruzione dei pozzi e delle fontane pubbliche o la pulizia dei canali e dei corsi d’acqua che attraversavano la città. Si valutava se concedere o meno il diritto di cittadinanza ai forestieri. Soprattutto si discuteva se e come pagare le tasse al sovrano o all’imperatore.

Il governo delle città

Nei primi tempi il potere di fare rispettare le decisioni del Consiglio comunale fu affidato a magistrati chiamati consoli. Essi avevano anche il potere di dichiarare guerra e di fare pace, di stringere alleanze e di concludere trattati. I consoli duravano in carica un anno. La loro nomina spettava al Consiglio comunale. Ben presto però nacquero contrasti tra le famiglie più importanti delle città per il controllo del comune. Queste discordie divennero così intense da rendere necessario un mutamento nel governo comunale. Dalla fine del XII secolo, in molte città i consoli furono sostituiti da un unico magistrato, il podestà. Egli era scelto tra le persone che non vivevano nel comune, così poteva essere imparziale, cioè non legato a una o all’altra delle famiglie più importanti. Nel frattempo la borghesia, diventata economicamente sempre più forte, incominciava a reclamare posti di governo nella città. Si aprì così la contesa fra i nobili e la borghesia. In alcune città gruppi di borghesi riuscirono a prevalere sui nobili eleggendo un loro rappresentante, chiamato capitano del popolo, che affiancava il podestà. Il capitano del popolo si occupava della difesa della città e dell’ordine pubblico, mentre il podestà amministrava la giustizia nei tribunali.

L’artigianato, fonte della ricchezza cittadina

La principale attività economica svolta nelle città era l’artigianato. Nel Medioevo, infatti, non esistevano fabbriche e macchine in grado di svolgere lavori complessi. Vestiti, utensili, attrezzi, mobili, armi, ecc. erano fabbricati tutti a mano nelle case o nelle botteghe. L’artigiano era aiutato da alcuni soci o compagni. Alle sue dipendenze lavoravano gli apprendisti, per lo più figli e parenti, che imparavano il mestiere per diventare in futuro essi stessi padroni di bottega. Nella bottega artigiana erano occupate in genere cinque o sei persone. La lana era il principale prodotto della lavorazione artigianale. In Italia, in Inghilterra e nelle Fiandre (cioè nella regione oggi compresa fra Olanda e Belgio) si producevano tessuti in lana di pregevole qualità. Assai diffusa era pure la lavorazione del lino, del cotone e della seta. Altre attività artigianali fiorenti in Europa erano la lavorazione delle pellicce, del cuoio e del vetro, e la fabbricazione delle armi.

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Guidoriccio, di città in città
Questo è un famoso affresco del Trecento, opera del pittore Simone Martini e che si trova nel palazzo comunale di Siena. Raffigura Guidoriccio da Fogliano, che fu un personaggio tipico dell’età comunale. Originario di Reggio Emilia e di famiglia nobile, Guidoriccio svolse incarichi per diversi comuni italiani. Fu capitano delle milizie cittadine di Siena e poi podestà di Padova e di Verona. Fu scelto proprio perché era un «forestiero», cioè originario di una città diversa e, pertanto, estraneo alle rivalità tra le famiglie del comune.

Sullo sfondo si vedono un accampamento militare e un castello: questi dettagli alludono all’esperienza di Guidoriccio come capitano delle milizie.
In cima a un colle è dipinto un comune, cinto da mura e ricco di torri. È probabilmente la città dove Guidoriccio si sta recando per assumere la carica di podestà.
Guidoriccio è a cavallo e sta viaggiando da una città all’altra. Tiene in mano il bastone del comando, simbolo delle sue cariche pubbliche.

Le corporazioni

Nella città medievale chiunque esercitava un mestiere doveva iscriversi a una corporazione, prima come discepolo, poi come socio, quindi come maestro. A quel tempo le corporazioni si chiamavano in vari modi nei diversi paesi: arti, mestieri, gilde. Si trattava di associazioni a cui erano iscritti coloro che esercitavano lo stesso mestiere. Lo scopo degli iscritti era di regolare l’attività produttiva in modo da tutelare il buon nome della bottega e da assicurare la qualità del prodotto. Le corporazioni erano pensate per evitare che qualcuno, per avidità di guadagno, producesse manufatti scadenti o facesse concorrenza sleale ai colleghi. Non solo gli artigiani, ma anche le altre categorie di lavoratori e professionisti, come i mercanti, i banchieri, i notai e i giudici, si riunivano in corporazioni, che avevano le stesse regole e gli stessi scopi delle prime. Non tutte le corporazioni godevano di uguale prestigio. Quelle che riunivano le attività più importanti avevano maggiore reputazione rispetto a quelle che tutelavano gli addetti ai mestieri più umili. Nei comuni italiani le prime erano chiamate arti maggiori e le seconde arti minori. A Firenze l’arte di Calìmala, che organizzava i lavoratori della lana, era la più ricca di tutte. Il nome Calìmala deriva dal greco kalòs mallos, che significa «bella lana».

Firenze: il governo delle arti

In alcune città italiane la borghesia si organizzò contro i nobili e proclamò un governo del popolo. Talvolta le cariche pubbliche furono affidate ai rappresentanti delle varie arti o corporazioni. Le arti si affermarono nel più importante e ricco comune italiano del tempo, Firenze. Questa città era un centro economico di primo piano. Nel Duecento la borghesia fiorentina, riunita in oltre venti arti, raggiunse uno straordinario sviluppo. Mercanti e banchieri fiorentini dominavano i mercati di mezza Europa, vendendo tessuti in lana e prestando denaro a interesse anche ai più potenti sovrani del continente. A partire dalla metà del XIII secolo le arti fiorentine assunsero il controllo politico del comune. Nel secolo successivo si verificò un’altra divisione: da un lato la borghesia più ricca, cioè le grandi famiglie che dominavano in campo commerciale (il popolo grasso), e dall’altro la piccola borghesia (artigiani e piccoli commercianti al dettaglio), chiamata popolo minuto. Il popolo grasso ebbe la meglio e Firenze fu governata da un gruppo molto ristretto di grandi mercanti e banchieri.

LE REGOLE DELLE CORPORAZIONI

Per essere ammessi in una corporazione, occorrevano alcuni requisiti: essere nativo della città, professare la fede cristiana, aver fatto un periodo di apprendistato nella bottega di un maestro, aver sostenuto gli esami prescritti. Ogni socio doveva obbedire alle regole dell’arte, scritte in appositi statuti, intervenire alle adunanze e alle cerimonie religiose.


Scuole e università

Fino all’XI secolo in Europa vi erano poche scuole, che si trovavano presso i monasteri e, più raramente, presso le cattedrali. Soltanto gli ecclesiastici e i nobili le frequentavano. La ripresa della vita cittadina, però, favorì la diffusione dell’istruzione e della cultura. Le nuove professioni richiedevano infatti un certo livello di istruzione. Per essere un buon banchiere, un abile artigiano, un mercante capace di fare affari, occorreva sapere leggere, scrivere e fare di conto, e anche conoscere le leggi. Perciò furono aperte scuole cittadine, frequentate dai figli delle famiglie nobili e borghesi. Alla fine dell’XI secolo nacquero anche le prime università. Studenti e insegnanti si organizzarono in corporazioni, così come avevano fatto i mercanti e gli artigiani, e avviarono corsi ed esami. L’insieme dei corsi si chiamava allora Studio ed equivaleva a quella che oggi chiamiamo «università». I primi Studi furono fondati a Bologna, a Parigi e a Oxford, in Inghilterra. Nei secoli successivi nuovi Studi sorsero in tutta Europa.

Il ritorno dell’oro

Le città promossero uno sviluppo economico che coinvolse tutta l’Europa. I commerci aumentarono e tornò intenso lo scambio del danaro. Riapparve in circolazione l’oro, che le popolazioni occidentali non vedevano più da parecchi secoli, se non nelle rare monete arabe e bizantine. Fu Firenze la prima città europea a servirsi dell’oro per le proprie monete. Il fiorino d’oro, coniato a Firenze nel 1252, fu una novità subito imitata. Poco dopo cominciarono a circolare lo zecchino di Venezia, seguito dal genoino di Genova, e poi da altre monete d’oro.

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Le università più antiche
L’università di Bologna, fondata nel 1088, è la più antica d’Europa.
Come vedi, la maggior parte delle università fondate nel Medioevo si trovava in Italia.
L’università di Parigi, chiamata Sorbona, è tuttora una delle più prestigiose del mondo.
Salerno era famosa per gli studi di medicina.

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