Monaci e missionari

Gli eremiti

Mentre la Chiesa acquisiva posizioni di prestigio e proseguiva l’opera di conversione al cristianesimo delle popolazioni arrivate con le grandi immigrazioni del III e IV secolo, cominciò ad affermarsi un nuovo modo di vivere la fede cristiana. Alcuni fedeli scelsero infatti di staccarsi dalla vita normale e di abbandonare ogni legame con il mondo. Si ritirarono in luoghi inospitali, come il deserto, per vivere in preghiera e in meditazione. In Egitto era più facile che altrove ritirarsi ai limiti delle zone abitate, perché bastava incamminarsi nel deserto di roccia per trovare una grotta oppure un’antica tomba. Grotte e tombe servivano da rifugio, meglio se poste vicino a una fonte o a un fiume che assicuravano l’approvvigionamento d’acqua. Questo è ciò che fecero i primi eremiti o anacoreti (la parola significa «colui che parte per un altro luogo»). Quei cristiani decisero di trasferirsi lontano dai luoghi abitati e di vivere in solitudine per sentirsi più vicini a Dio.

Sant’Antonio

Fu il caso di sant’Antonio, nato in Egitto verso la metà del III secolo da ricca famiglia. Dopo la morte dei genitori, Antonio distribuì i suoi beni ai poveri e si ritirò in una grotta nel deserto, dove visse per più di ottant’anni. Attorno a lui si radunarono numerosi discepoli. La sua scelta di vita fu proposta da Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, come un modello di santità, perché rifiutava i piaceri terreni e s’impegnava nella lotta contro le tentazioni. Atanasio favorì le esperienze religiose basate su scelte molto impegnative e le propose ai cristiani che vivevano in quelle terre africane, ai confini della civiltà romano-cristiana.

SANT’ANTONIO E IL MAIALE

Sant’Antonio e altri cristiani dei primi secoli furono venerati come santi a partire dal Medioevo. I cristiani attribuirono loro qualità speciali, ricordate nelle raffigurazioni che i pittori facevano nei quadri e sulle pareti delle chiese. Sant’Antonio è spesso rappresentato con a fianco un piccolo maiale. Ciò ricorda che il santo era invocato per guarire da una grave malattia, chiamata volgarmente fuoco di Sant’Antonio, che produce irritazione alla pelle. Nel Medioevo la si curava con un unguento ricavato dal maiale e intanto si invocava il santo. Il maiale rappresentava anche il diavolo, dalle cui tentazioni Antonio si era difeso nel deserto.

Camminare per convertire

La religiosità degli eremiti orientali fu imitata in Europa e ottenne successo nei luoghi di confine, dove i pochi cristiani erano circondati da popolazioni germaniche che praticavano altri culti. A diffondere il Vangelo furono i monaci itineranti (cioè che viaggiano, che si spostano continuamente). Essi si spostavano di villaggio in villaggio. Si spingevano in località remote, affrontando viaggi pieni di disagi e pericoli. Il loro scopo era la pacifica conversione di popoli pagani o ariani.

Da eremiti a monaci

Con il passare del tempo, i fedeli che imitarono sant’Antonio decisero di vivere in comunità, per affrontare insieme le tante difficoltà di un luogo inospitale come il deserto. Sorsero così le prime comunità di monaci, le quali stabilirono alcune regole di convivenza. Ogni monaco (dal greco monakos, «solitario») conviveva con un gruppo di uomini che, come lui, avevano scelto una vita dedicata esclusivamente alla preghiera. Seguivano uno stile di vita molto semplice. Si cibavano una sola volta al giorno e spesso digiunavano per più giorni consecutivi. Ad esempio, la dieta di sant’Antonio consisteva in pane, sale e acqua. Aggiungeva qualche volta olive, verdure secche e olio.

Benedetto da Norcia

Le esperienze degli eremiti e dei primi monaci fornirono l’ispirazione per una grande riforma religiosa. A realizzarla fu Benedetto, nato a Norcia, in Umbria, intorno al 480 d.C. Di famiglia agiata, Benedetto aveva studiato a Roma. Poi si era ritirato per tre anni in una grotta a Subiaco, nel Lazio, vivendo da eremita. Intorno a lui però si riunirono molti giovani, attratti dal suo esempio. Benedetto pensò così di organizzare la vita in comune di questi monaci. Tuttavia la novità del suo esempio gli attirò molti nemici, che lo costrinsero a fuggire. Giunto a Cassino, in Lazio, fondò un grande monastero sul monte dove prima sorgeva un tempio pagano. Nelle vicinanze costruì un altro monastero, diretto da sua sorella, di nome Scolastica. Benedetto propose ai suoi monaci uno stile di vita ben diverso da quello degli eremiti. Propose la penitenza, la moderazione e la preghiera, ma anche il lavoro intellettuale e fisico. Benedetto morì nel 547, poco dopo la scomparsa della sorella Scolastica, con cui ebbe sepoltura comune. Intanto l’ordine dei benedettini, da lui fondato nel 529, si stava diffondendo in tutta Europa grazie anche all’appoggio dei papi, in particolare di Gregorio Magno, e dei sovrani. Già subito dopo la morte Benedetto fu venerato come santo.

La Regola di san Benedetto

Intorno al 540, nel monastero di Montecassino, Benedetto aveva scritto la Regola, un testo che stabiliva l’ordinamento della sua comunità di monaci. La basò sulla disciplina e sul rispetto per la personalità umana e per le capacità individuali. 
I punti fondamentali della Regola sono due: 
• il primo consiste nell’obbligo di risiedere tutta la vita nel monastero, per evitare il vagabondaggio, allora diffuso tra i monaci; 
• il secondo consiste nella buona condotta morale, nella reciproca sopportazione e nell’obbedienza all’abate. L’abate era il «padre amoroso» (il nome deriva dal siriaco abba, «padre»), cioè la massima autorità dell’abbazia e la guida dei monaci. I monaci benedettini erano invitati a dedicare il loro tempo a varie occupazioni, alternando lavoro e preghiera. È quanto fu fissato nel motto dei benedettini, ora et labora, cioè «prega e lavora».

I monasteri come aziende agricole

I benedettini non solo pregavano e predicavano la parola di Dio, ma lavoravano come contadini nei campi ed erano anche artigiani, perché costruivano da sé gli attrezzi agricoli e altri utensili. Intorno a ciascun monastero benedettino si raggruppò una popolazione di contadini, che lavoravano le terre di proprietà del monastero stesso e si ponevano sotto la protezione dell’abate. Questi si occupava di tante questioni relative ai villaggi agricoli: amministrava la giustizia, risolveva le liti, stabiliva quanti tributi far pagare. Nelle terre dei benedettini il lavoro aveva un significato speciale: tutti lavoravano nella convinzione che la loro fatica fosse simile alla preghiera e servisse a rendere l’uomo più gradito a Dio. Era un modo per acquisire durante la vita dei meriti che potevano garantire, dopo la morte, la salvezza eterna.

LE DISTRUZIONI DELL’ABBAZIA DI MONTECASSINO

La celebre abbazia di Montecassino subì diverse distruzioni nella sua lunga storia. L’ultima fu nella Seconda guerra mondiale. L’abbazia sorgeva vicino alla linea di difesa che i tedeschi avevano stabilito per fermare l’avanzata degli inglesi e degli americani. Questo la mise al centro di una lunga battaglia. Nel febbraio del 1944 fu bombardata dagli anglo-americani, che la distrussero. Nel dopoguerra si impegnarono poi nella ricostruzione.



L’abbazia di Montecassino come si presenta oggi.

I monasteri come centri di cultura

Uno dei lavori a cui si dedicavano i monaci benedettini era la copiatura dei libri. Nel Medioevo, infatti, non esisteva ancora la stampa: perciò i libri erano scritti e copiati a mano. Le abbazie benedettine raccolsero i più importanti testi del mondo antico, sia libri di argomento religioso sia le opere dei maggiori autori greci e latini. I monaci ne scrissero a mano delle copie e le conservarono nelle biblioteche dei loro monasteri. In questo modo iniziarono un’opera utilissima di conservazione della civiltà antica, che rischiava di andare perduta in un’epoca di sbandamento generale. Grazie ai monaci benedettini, oggi possiamo leggere opere di poeti, scrittori e filosofi greci e romani. Una figura importantissima, quindi, fu quella del monaco amanuense, cioè colui che ricopiava a mano i testi. Egli lavorava nello scriptorium, il locale dell’abbazia riservato appunto alla scrittura. Spesso i testi venivano arricchiti da splendide decorazioni: esse erano opera dei miniatori. Venivano chiamati così perché, nell’eseguire le loro opere, usavano spesso una sostanza di colore rosso detta «minio».

I monasteri come luoghi di ricovero

Infine i monasteri erano anche luoghi di ricovero per poveri e viaggiatori. Presso i monaci essi potevano trovare un pasto, un letto e cure mediche, se ne avevano bisogno. Tra i monaci, infatti, quasi sempre ce n’era qualcuno esperto di erbe medicinali, che a quei tempi erano quasi le uniche medicine a disposizione. Tali erbe venivano raccolte nella campagna circostante il monastero oppure erano coltivate in un apposito orto. Nell’abbazia, pertanto, esisteva in genere un edificio (chiamato foresteria) dove alloggiavano appunto i «forestieri», cioè i viaggiatori e, più in generale, le persone che trovavano rifugio temporaneo presso i monaci.

I monaci d’Oriente

Mentre i monasteri benedettini si diffondevano nell’Europa occidentale, a Oriente si affermava un monachesimo particolare. Le prime comunità di monaci furono fondate da Pacomio all’inizio del IV secolo. Pacomio era nato nella parte settentrionale dell’Egitto nel 287. Arruolato suo malgrado nell’esercito e fatto prigioniero, si convertì al cristianesimo in carcere. Tornato in libertà, dedicò la propria vita al servizio religioso, come eremita, sull’esempio di sant’Antonio. Pacomio, però, fece un’esperienza nuova. Si allontanò dalla solitudine degli eremiti, fatta di astinenze, digiuni, penitenze corporali, e raccolse intorno a sé una comunità basata sulla preghiera, sul lavoro, sul servizio reciproco. Alla sua morte aveva fondato una decina di monasteri, di cui alcuni femminili.

L’opera di Basilio

L’esempio di Pacomio fu imitato in Siria, in Palestina e in tutto l’Impero d’Oriente. Le comunità di monaci furono protette e incoraggiate da Basilio, vescovo di Cesarea, in Cappadocia (una regione dell’attuale Turchia). Egli fu il principale organizzatore del monachesimo orientale. Fondò comunità di monaci in tutta l’Asia Minore e, accanto ai monasteri, volle che ci fossero ospedali per la cura dei malati e l’assistenza ai bisognosi. Basilio si servì dei monaci anche per contrastare i sacerdoti della sua diocesi, che accettavano denaro in cambio delle cariche ecclesiastiche. Era questo il peccato di simonìa. Con il denaro donato dall’imperatore, il clero acquistava posti di comando nelle sedi più prestigiose. Ad esempio, un posto di sacerdote a Costantinopoli, la capitale, poteva valere molto in termini di guadagno e prestigio.

Cirillo, Metodio e l’alfabeto slavo

Molti monaci svolsero attività missionaria, ossia convertirono popolazioni pagane o di altri riti orientali. Furono anche protagonisti dello sviluppo culturale dei popoli dell’Est europeo. Fu questo il caso di due fratelli, nati in Grecia, di nome Cirillo e Metodio. Educati alla corte di Costantinopoli, si fecero entrambi monaci e nell’863 si recarono in Moravia, dove si dedicarono soprattutto alla predicazione e alla formazione del clero. In quelle terre, abitate da popolazioni slave, non esisteva una lingua scritta. Furono proprio i due monaci a inventare l’alfabeto slavo, prendendo come modello l’alfabeto greco. Cirillo tradusse in slavo la Bibbia, usando il nuovo alfabeto, che in suo onore fu chiamato «cirillico». Oggi i caratteri cirillici sono adoperati nelle lingue russa, ucraina, bulgara e serba.

GLOSSARIO

Simonìa
La compravendita di cariche religiose.
Il nome deriva da Simon Mago, un personaggio ricordato dagli Atti degli apostoli, che cercò di comprare da san Pietro il potere di trasmettere lo Spirito Santo.


IMPARO a STUDIARE

CHI fondò le prime comunità di monaci in Oriente?
CHE COSA inventarono Cirillo e Metodio?

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