Il decollo dell’industria in Inghilterra

Le prime fabbriche

Nel paese più sviluppato d’Europa, l’Inghilterra, tra il 1780 e il 1800 sorsero le prime fabbriche. La fabbrica è il luogo dove si incontrano l’operaio e la macchina, le due forze che diedero vita all’industrializzazione. L’operaio svolge un lavoro ripetitivo all’interno di un sistema di lavorazione al quale partecipano molti altri operai come lui. In tutto il ciclo di lavorazione gli è affidato un unico intervento, sempre uguale, separato dalle altre operazioni che si svolgono nella fabbrica. L’operaio percepisce un salario, cioè una paga stabilita dal padrone della fabbrica. L’operaio non ha più alcun rapporto con la campagna, che nella maggior parte dei casi ha definitivamente abbandonato per trasferirsi a vivere in città. La macchina è l’altro cuore della fabbrica. Nel Settecento furono inventate macchine capaci di lavorare in breve tempo grandi quantità di prodotti e quindi di ridurre l’intervento dell’uomo. Sono queste le premesse di quella che è chiamata «rivoluzione industriale».

La rivoluzione comincia da cotone e ferro

Il primo settore a essere coinvolto nella rivoluzione industriale fu quello della lavorazione del cotone. In Inghilterra, nella seconda metà del Settecento, furono inventate macchine nuove, che semplificarono il lavoro e lo accelerarono. Filavano il filo di cotone, ossia trasformavano la matassa di cotone in un filo pronto per essere tessuto. A quel punto alcuni inventori crearono il telaio meccanico, che consentiva di produrre rapidamente molti capi di vestiario, a basso costo. Filatoi e telai sono macchine utensili, ossia macchine che svolgono un lavoro. La produzione di macchine utensili stimolò la crescita dell’industria siderurgica, che lavora il ferro.


Lavorazione del ferro in uno stabilimento svedese (dipinto del 1780).

La macchina a vapore

Un passaggio decisivo nella rivoluzione industriale fu compiuto nel 1769, quando l’ingegnere inglese James Watt inventò la macchina a vapore. Essa produceva l’energia che serviva per azionare contemporaneamente più filatoi e telai, ossia più macchine utensili. In precedenza, per azionare le macchine, si usavano i mulini ad acqua, ossia macchine che utilizzavano la forza (energia meccanica) sviluppata dall’acqua in caduta. La macchina di Watt, invece, usava il vapore prodotto dall’acqua riscaldata dal fuoco di carbone per produrre un movimento costante e forte. Una sola macchina a vapore poteva azionare diverse macchine utensili.

Un mondo che si trasforma

I risultati dell’industrializzazione nel settore del cotone furono questi: nel 1760 l’Inghilterra importava 1,5 milioni di chilogrammi di cotone grezzo da lavorare; intorno al 1820 l’importazione era salita a 190 milioni. Certo, l’Inghilterra era in una posizione di vantaggio. Si riforniva della materia prima, il cotone, a bassi prezzi, perché la importava dalle sue colonie in America. Inoltre poteva vendere i suoi prodotti (vestiti e altro) in tutto il mondo grazie alla presenza di navi, commercianti e colonie inglesi in ogni angolo della Terra. Le conseguenze furono enormi. Perse importanza la figura dell’artigiano, cioè di colui che lavorava nella sua bottega, con strumenti di sua proprietà e portava a termine da solo o con l’aiuto di qualche garzone tutte le fasi del lavoro. Al suo posto c’era l’operaio di fabbrica, cioè colui che lavora alle dipendenze di un padrone in cambio del salario, e usa le macchine della fabbrica.

La fortuna di avere il carbone

Un altro vantaggio dell’Inghilterra era quello di disporre di miniere di carbone, essenziale per fare funzionare le macchine a vapore e per fondere la ghisa e il ferro. Lo sviluppo industriale si concentrò nelle zone dove vi erano ricchi giacimenti di ferro e carbone. Questi giacimenti, per lo più, si trovavano nei pressi dei porti marittimi e fluviali. Inoltre una fitta rete di canali e di fiumi navigabili consentiva di trasportare agevolmente prodotti pesanti. Nelle città di Manchester, Liverpool e Londra si formarono le prime concentrazioni di fabbriche. Al di fuori dell’Inghilterra, nel corso del XVIII secolo, il fenomeno della rivoluzione industriale non si verificò oppure ebbe dimensioni ridotte.

Le conseguenze sociali

La rivoluzione industriale modificò radicalmente la vita dei lavoratori, perché all’interno della grande fabbrica nulla era più come nella bottega dell’artigiano o nella casa del contadino. Regnava una rigida disciplina dettata dal movimento della macchina, alla quale l’operaio era subordinato. La fabbrica era governata da una schiera di capi e di sorveglianti, che dovevano mantenere la disciplina tra gli operai. Per chi sgarrava le punizioni erano pesanti: multe in denaro e poi licenziamento. Gli orari prevedevano da 12 a 16 ore di lavoro al giorno, senza ferie, con un solo giorno di riposo, la domenica. Migliaia di adolescenti e di bambini furono impiegati nell’industria tessile o costretti a spingere i carrelli del carbone negli stretti cunicoli delle miniere. Usciti dalla fabbrica, gli operai trovavano condizioni di vita altrettanto difficili. Vivevano perlopiù in case malsane, prive di attrezzature igieniche, in alloggi sovraffollati.

Le prime lotte operaie

Le difficili condizioni di lavoro nelle fabbriche e la povertà della vita degli operai provocarono ben presto forti proteste contro il nuovo modo di lavorare. Le prime proteste da parte dei lavoratori inglesi sono conosciute con il nome di «luddismo», da Ned Ludd, un tessitore che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio meccanico. I luddisti, che si erano organizzati in bande segrete, praticavano il boicottaggio e la distruzione delle macchine industriali, convinti che eliminando le macchine si sarebbe potuti «tornare indietro» a un modo di vivere e lavorare più dignitoso. I luddisti furono repressi con l’introduzione della pena di morte e il divieto di qualsiasi organizzazione tra operai. Terminato il luddismo, gli operai si associarono in leghe di mutuo soccorso e cominciarono a praticare lo sciopero come strumento per far valere le proprie ragioni.

LEGGERE le FONTI

In casa del minatore
Ecco la testimonianza di un medico tedesco sulle condizioni di vita nelle case dei minatori.

"Alcune pentole e alcuni piatti di terra sono tutte le masserizie; il vestiario consiste in un’unica giacca. Non conosce il letto; giace sulla paglia, si copre con la giacca. La domenica la moglie cucina carne con cavoli, piselli o barbabietole, in quantità da essere sufficiente per tutti i componenti della famiglia per l’intera settimana. Se quella pietanza non basta, il cibo migliore è allora un pezzo di pane con il cacio."

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