I moti del 1820-1821 in Italia
Nel Regno delle Due Sicilie la rivoluzione scoppiò nei primi giorni di luglio del 1820. A capo c’erano alcuni ufficiali dell’esercito, molti dei quali avevano servito in passato Napoleone. Li comandava il generale Guglielmo Pepe, affiancato dai capi della Carboneria meridionale. Il re, Ferdinando I, dovette fare buon viso a cattivo gioco: accettò la Costituzione e convocò le elezioni per eleggere il Parlamento. Anche nel Lombardo-Veneto, soprattutto a Milano, si erano formati gruppi di liberali. Avevano un loro giornale, «Il Conciliatore», che propagandava le idee liberali. Alcuni tra loro volevano l’unione del Lombardo-Veneto e del Piemonte in un solo regno governato da una monarchia costituzionale. I liberali lombardi erano quindi in contatto con quelli piemontesi. Nel 1820 il governo austriaco scoprì a Milano una riunione di cospiratori, tra cui vi erano alcuni dei letterati del «Conciliatore»: seguirono lunghi processi e condanne a morte per molti di loro.
La sconfitta delle rivoluzioni
Sia in Italia sia in Spagna i rivoluzionari commisero due errori: si fidarono della sincerità dei loro sovrani (che invece accettarono solo in apparenza la monarchia costituzionale) e sottovalutarono il rischio di intervento delle potenze straniere. Infatti Austria, Russia e Prussia avevano stipulato la «Santa Alleanza», proprio per impedire le rivoluzioni liberali. I sovrani dei tre paesi, con l’appoggio del re di Francia, decisero di mettere fine ai governi costituzionali di Madrid e di Napoli. Nel 1821 un esercito austriaco scese nel sud d’Italia, dove sbaragliò le deboli difese militari predisposte dai liberali napoletani.
Il ritorno dell’assolutismo
In Spagna l’assolutismo fu restaurato nel 1823, con l’intervento dell’esercito francese, deciso dalla Santa Alleanza. Per i liberali e i democratici piemontesi, lombardi, spagnoli e napoletani si aprì un periodo di repressione, che costò a molti di loro lunghi anni di carcere o di esilio , e ad alcuni anche la vita. A Milano i tribunali fecero processi ed emisero pesanti condanne. Due intellettuali, Silvio Pellico e Piero Maroncelli, colpevoli di avere voluto riformare il governo, furono condannati a morte. La pena fu poi tramutata dall’imperatore austriaco nel carcere da scontare nella fortezza dello Spielberg, in Moravia.
LE PRIGIONI DI SILVIO PELLICO
Silvio Pellico, scrittore e patriota, era nato a Saluzzo, in Piemonte. Si stabilì a Milano dove entrò nei circoli liberali e collaborò al «Conciliatore ». Affiliato alla Carboneria, fu arrestato nel 1820 e condannato al carcere. Ottenne la grazia nel 1830. Questa esperienza fu raccontata nel libro Le mie prigioni, che ebbe una grande diffusione in Italia e all’estero. Il libro, nonostante fosse criticato dai liberali che lo ritenevano troppo debole nei confronti dei carcerieri, contribuì a mettere in cattiva luce l’Austria e i suoi metodi di governo.