Crisi economica e rivolte politiche

Carestie e disoccupazione

Una grave crisi economica colpì l’Europa a partire dal 1845. In quell’anno i raccolti di grano furono scarsi e dilagò un’incurabile malattia della patata. I due prodotti, che erano alla base dell’alimentazione dei poveri, divennero molto scarsi. Intere popolazioni erano alla fame, come gli irlandesi, il cui cibo principale era appunto la patata. In tutto il continente i prezzi dei generi alimentari salivano alle stelle. Nell’industria le cose non andavano meglio, al punto che molte fabbriche furono costrette a licenziare gli operai. Milioni di lavoratori furono privati del loro guadagno proprio nel momento in cui il costo della vita cresceva. Si diffuse la miseria, che gettò nella disperazione gli abitanti delle zone più toccate dalla crisi. La miseria che maggiormente impensieriva i politici era quella delle città e delle aree industriali, perché lì si erano formate le prime associazioni sindacali che promuovevano scioperi e manifestazioni contro i governi.

Le rivoluzioni travolgono le monarchie

Il 1848 fu un anno speciale. Le proteste di carattere economico, suscitate dalle carestie e dalla disoccupazione, si unirono con le agitazioni politiche, che chiedevano maggiori libertà e, in certe regioni, l’indipendenza dal dominio straniero. In molti paesi scoppiarono rivoluzioni di dimensioni e di intensità straordinarie, tali da sconvolgere l’Europa intera, con l’esclusione della Gran Bretagna e della Russia. Sembrò una reazione a catena, come se un filo invisibile muovesse le folle delle città, che scesero in piazza per protestare, si armarono e si scontrarono con gli eserciti. La prima rivoluzione si verificò in Italia: nel gennaio del 1848 il popolo insorse a Palermo; pochi giorni dopo la rivolta scoppiò a Napoli. La protesta fu così travolgente da convincere il re Ferdinando II a promettere la Costituzione. Richieste analoghe trovarono ascolto in Piemonte, in Toscana e nello Stato della Chiesa: i sovrani si affrettarono a concedere le Costituzioni e a convocare le elezioni per il Parlamento, rinunciando al potere assoluto. Nel Regno di Sardegna la Costituzione prese nome dal sovrano Carlo Alberto e fu chiamata «Statuto albertino».

Barricate a Parigi

Tra gennaio e marzo la rivoluzione si propagò nelle principali città europee, a partire da Parigi. Nella capitale francese già da qualche anno le lotte politiche guidate dall’opposizione liberale avevano messo sotto accusa il re Luigi Filippo, ritenuto troppo conservatore. Nel febbraio del 1848 il popolo di Parigi scese in strada, erigendo barricate. L’insurrezione si estese a tutta la città, tanto che Luigi Filippo fu costretto ad abdicare. Il Parlamento proclamò decaduta la monarchia e instaurò la repubblica.

Il ritorno all’ordine

Il governo repubblicano della Francia adottò provvedimenti democratici: suffragio universale per tutti i maschi sopra i 21 anni, totale libertà di stampa, abolizione della schiavitù nelle colonie oltreoceano. Inoltre approvò riforme di carattere sociale: riduzione a 10 ore della giornata di lavoro, apertura degli uffici di collocamento per combattere la disoccupazione e creazione degli Ateliers nationaux («Fabbriche nazionali»), che erano aziende dello stato che dovevano dare lavoro alle migliaia di disoccupati. L’esperimento delle fabbriche nazionali, voluto dai socialisti, non diede, però, risultati positivi, così che a pochi mesi dalla loro apertura il governo le chiuse. Non appena si seppe di questa decisione, operai e artigiani di Parigi tornarono a manifestare in piazza, ma non trovarono appoggio né tra i deputati del Parlamento né tra i ministri del governo repubblicano. Anzi, il governo ordinò all’esercito di sparare contro la folla: si contarono oltre 5000 morti. La strage segnò la svolta in senso conservatore: presidente della Repubblica fu eletto Luigi Napoleone, nipote di Napoleone Bonaparte e capo dei parlamentari che volevano il ritorno all’ordine.

LO STATUTO ALBERTINO

Il re di Sardegna Carlo Alberto promulgò lo Statuto il 4 marzo 1848. Lo Statuto prevedeva che il potere legislativo spettasse al Parlamento, diviso in due Camere: la Camera dei deputati, elettiva, e il Senato, nominato dal re. Gli aventi diritto al voto per la Camera erano pochi: 80 000 su circa 5 milioni di abitanti, ossia circa il 2% della popolazione. A ogni deputato corrispondevano circa 300 elettori: ciò dà la misura del rapporto molto stretto tra gli elettori e i loro rappresentanti. Infatti soltanto i cittadini maschi, non analfabeti e con un reddito elevato potevano votare. Il governo era nominato dal re, ma composto da uomini che dovevano avere la fiducia del Parlamento. Il re nominava i giudici. Lo Statuto sarà esteso al Regno d’Italia mano a mano che questo si formerà e resterà in vigore fino al 1° gennaio 1948, quando entrerà in vigore la Costituzione della Repubblica italiana.

Il Lombardo-Veneto si ribella agli austriaci

A quel punto l’Italia tornò protagonista, perché si ribellarono i territori italiani che facevano parte dell’Impero austriaco. A Milano e a Venezia i patrioti democratici insorsero e riuscirono a cacciare le truppe austriache. Nella capitale lombarda la sollevazione iniziò la mattina del 18 marzo, quando la popolazione scese in strada e cominciò a protestare contro gli austriaci, che governavano la città. I milanesi volevano contare di più nel governo cittadino e non sopportavano che le tasse da loro pagate andassero a vantaggio di un paese straniero, l’Austria. Le proteste non si placarono nemmeno quando uscirono dalle caserme le truppe austriache con le loro bianche divise, le loro armi, i loro cavalli. Anzi, la rabbia della gente aumentò. I milanesi cominciarono a portare in strada tutto quello che avevano nelle case e che poteva servire a costruire delle barricate: mobili, cataste di legna, carri, oggetti ingombranti. I soldati austriaci si trovarono in difficoltà, intrappolati tra una barricata e l’altra. In cinque giorni (18-22 marzo) i milanesi furono padroni della città e il generale Radetzky fu costretto alla resa. La rivolta, diventata celebre con il nome di «Cinque giornate di Milano», costituì la più imponente ribellione popolare di tutte quelle che, nel 1848, scoppiarono in Europa.

La Prima guerra di indipendenza

Fu allora che il re di Sardegna Carlo Alberto si decise a intervenire a fianco dei milanesi e contro l’Austria. Il suo esercito entrò nel Lombardo-Veneto per conquistarlo e unirlo al Piemonte. Era il gesto che i patrioti si attendevano, perché in questo modo potevano contare sull’appoggio di un vero esercito. Alla guerra del Piemonte contro l’Austria aderirono soldati inviati dalla Toscana e dal Regno di Napoli. Ai soldati si unirono dei volontari, cioè studenti universitari e diversi seguaci di Mazzini, ritornato dall’esilio. Si formò così una strana alleanza tra i soldati piemontesi e i patrioti volontari. I primi combattevano per il loro re nella prospettiva di un’espansione del Piemonte (guerra dinastica); i secondi combattevano per un ideale, l’unità d’Italia (guerra patriottica). La speranza che queste forze trionfassero sull’esercito austriaco fu però presto delusa. Carlo Alberto fu sconfitto a Custoza nel luglio del 1848. Alla sconfitta seguì l’armistizio, firmato tra l’Austria e il Piemonte. A quel punto i patrioti volontari si trovarono privi di un appoggio militare e abbandonati al loro destino.

LO SCIOPERO DEL FUMO

A scatenare la rivolta milanese del marzo 1848 fu un episodio secondario. Il governo austriaco aveva aumentato le tasse sul tabacco e sui sigari. I milanesi, per protesta, decisero di fare lo sciopero del fumo: se nessuno comprava più sigari, venivano danneggiati gli interessi economici dello stato austriaco. Per questo il generale austriaco Radetzky, governatore di Milano, mandò in giro i suoi soldati a fumare sfacciatamente sigari per le strade. La mattina del 18 un cittadino, che aveva protestato, fu arrestato. Mentre i soldati lo portavano via, la gente accorse in suo aiuto e lo liberò. Fu la scintilla della rivolta, che in breve dilagò in tutta la città.

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