ARTE & storia

Musiche per l’Italia

Va’ pensiero... 
Nell’Ottocento la musica e le canzoni erano molto popolari. La gente esprimeva in molti modi, anche con il canto, i propri sentimenti e le proprie idee. Così i patrioti usarono le canzoni e la musica per creare entusiasmo negli italiani e incitarli a vivere la passione per l’Italia unita. Giuseppe Verdi fu un grande musicista, autore di opere liriche che ebbero (e hanno ancora oggi) un successo mondiale. In una di queste, il Nabucco, compose una musica che divenne famosissima, come pure il testo cantato dal coro. Quel testo parla degli antichi ebrei che, durante l’esilio in Egitto, sognavano di tornare nella loro patria. Va’ pensiero sull’ali dorate: sono le parole iniziali del coro, che prosegue con: O mia patria sì [così] bella e perduta. Per un italiano che ascoltava quell’opera il significato era chiaro: la patria bella e perduta era l’Italia, e quelle parole, che nella finzione dell’opera erano attribuite al popolo ebraico, furono considerate un inno dai patrioti italiani che sognavano l’unità e la liberazione dai governi stranieri. Al teatro alla Scala di Milano, quando fu messo in scena il Nabucco (nel 1842), tutti gli spettatori si commossero e cantarono insieme quelle parole, pensando all’Italia.

L’inno di Mameli
Qualche anno più tardi Goffredo Mameli, patriota garibaldino, scrisse quello che sarebbe diventato - cento anni più tardi - l’inno nazionale italiano: Fratelli d’Italia. La musica fu scritta dal compositore Michele Novaro. Poeta e scrittore, Mameli nel 1849 andò a Roma per combattere in difesa della repubblica, proclamata in quell’anno. Qui egli morì per un tragico incidente: un suo compagno lo ferì involontariamente con la baionetta e la ferita si infettò, sino a portarlo alla morte. Aveva solo 22 anni.

FRATELLI D’ITALIA

Le parole dell’Inno di Mameli non sono facili da capire perché hanno molti riferimenti alla storia antica.
Vediamo insieme di cogliere il significato delle prime strofe:
"Fratelli d’Italia / L’Italia s’è desta / Dell’elmo di Scipio / S’è cinta la testa1
Dov’è la vittoria? / Le porga la chioma2 / Che schiava di Roma / Iddio la creò.
Stringiamci a coorte3 / Siam pronti alla morte / Siam pronti alla morte / L’Italia chiamò."

1. L’italia s’è posta in testa (s’è cinta la testa) l’elmo di Scipione l’Africano, cioè ha rinnovato il valore degli antichi Romani.
2. Si riferisce all’uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne libere, che portavano invece i capelli lunghi. Il senso dei versi è questo: «La vittoria porga la chioma all’Italia, perché Dio creò la vittoria come schiava di Roma, cioè Dio vuole che la vittoria appartenga all’Italia».
3. La coorte era un’unità da combattimento dell’esercito romano.

Daghela avanti un passo
Il patriottismo degli italiani si espresse anche in alcune canzoni popolari. Si tratta di canzoni e musiche spesso di autori ignoti, che ebbero molto successo tra la gente comune. Erano insomma le hit dell’epoca. Ad esempio, i milanesi canticchiavano volentieri La bella Gigogin, che comincia con questi versi:
"Rataplàn, tamburo io sento
che mi chiama alla bandiera,
o che gioia, o che contento,
io vado a guerreggiar.
Rataplàn, non ho paura
delle bombe e dei cannoni,
io vado alla ventura,
sarà poi quel che sarà."

In particolare, divenne celebre il ritornello della canzone, che dice: Daghela avanti un passo (cioè «Fai un passo in avanti»). Nella canzone è una ragazza che invita il fidanzato a fare un passo avanti, cioè a sposarla. La gente dell’epoca, però, interpretò quelle parole come un incoraggiamento al re di Sardegna perché facesse finalmente il «passo» di dichiarare guerra all’Austria.

Ma la censura vigila…
Come sai, l’Impero austriaco era uno stato assoluto, dove non esisteva libertà di opinione: chi si opponeva al governo austriaco rischiava la galera. C’era una censura molto severa, che vietava di dire, scrivere, e anche cantare, cose sgradite al governo. Successero così episodi molto curiosi. Per esempio, nel 1859, fu messa in scena a Milano l’opera lirica I puritani, del musicista catanese Vincenzo Bellini. L’opera è ambientata nell’Inghilterra del XVII secolo e contiene un coro che comincia con Guerra! Guerra! Non appena il pubblico udì quell’invocazione alla guerra, cominciò ad applaudire con entusiasmo, pensando evidentemente alla guerra da fare contro gli austriaci per ottenere l’indipendenza. Il giorno dopo, la censura austriaca vietò di cantare quel coro e l’opera dovette andare in scena «mutilata» di una delle sue parti più belle. La censura austriaca intervenne anche sull’Italiana in Algeri, un’opera di Gioacchino Rossini: il brano Pensa alla patria fu cambiato in Pensa alla sposa. «Patria», a quei tempi, era una parola pericolosa!

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