STORIA & memoria

Fare gli italiani: l’importanza della scuola

Pochi italiani parlano l’italiano
Al momento dell’Unità soltanto 22 italiani su 100 sapevano parlare e scrivere in italiano. L’italiano era la lingua dei professionisti, dei poliziotti, dei professori, dei ministri, dei politici. La maggior parte della popolazione, invece, sapeva comunicare solo in dialetto. Anche coloro che frequentavano la scuola per uno o due anni rischiavano poi di perdere la conoscenza della lingua, perché non la utilizzavano mai.

Due anni di scuola per tutti
La prima legge sul sistema scolastico fu approvata nel 1859 ed estesa a tutta l’Italia nel 1861. Prevedeva l’obbligo per i comuni di creare e mantenere la scuola elementare, che consisteva in un corso di due anni. Il corso successivo di altri due anni era previsto solo nelle città maggiori e non era obbligatorio. Dati gli scarsi mezzi di cui disponevano i comuni, la scuola elementare non fu realizzata ovunque. Le campagne, le montagne, il Sud ebbero un numero minore di scuole, così che l’obbligo scolastico non fu rispettato in molte zone del paese.

Prima il lavoro dei campi, poi la scuola
Nei paesi di campagna la frequenza dei bambini non era continuativa: le presenze in classe diminuivano nella stagione dei raccolti, quando anche i bambini dovevano dare una mano nel lavoro dei campi. Ovunque si avevano aule troppo affollate, dove spesso trovavano posto anche cento bambini. In una sola aula con un solo maestro le lezioni erano frequentate da bambini di tutte le età, dai sei ai dieci anni. Pochi alunni avevano i libri di testo; la maggioranza si arrangiava copiando le lezioni sui quaderni e imparando tutto a memoria.

Un sarto per maestro
Anche la preparazione degli insegnanti appariva insufficiente. Ad esempio in Lombardia, una delle regioni dove minore era l’analfabetismo, per divenire maestri era sufficiente aver frequentato la terza elementare e avere seguito un breve corso di preparazione all’insegnamento. Nelle scuole di paese i maestri non conoscevano neppure la lingua italiana o, se la conoscevano, preferivano usare il dialetto con il motivo che altrimenti gli alunni non li avrebbero capiti. Gli stipendi bassi costringevano gli insegnanti a dedicarsi anche ad altri mestieri: era infatti abbastanza frequente trovare maestri che facevano anche i sarti, i segretari, i bottegai, i contadini.

LEGGERE le FONTI

Lezione d’italiano… in piemontese
Il brano seguente è tratto dalla relazione di un ispettore scolastico piemontese e risale al 1846.
"Nelle scuole dei piccoli comuni e delle borgate l’uso del dialetto è ancora comune. Col pretesto che i fanciulli non parlano l’italiano, i maestri parlano sempre il piemontese e non si avvedono che, continuando così, non avverrà mai che altri si abituino a comprendere e parlare la lingua nazionale. Nei capoluoghi le cose migliorano dopo le prime classi, anche per il contributo dato dalle famiglie, che si sforzano di parlare a loro volta l’italiano per non vanificare la fatica dei maestri e dei figli."

Rispondi alle domande sui difetti della scuola italiana che emergono dalla fonte letta.
1. Quale errore compiono i maestri dei piccoli comuni e come lo giustificano?
2. Perché la situazione è diversa nelle città capoluogo?

LEGGERE le CARTE

Osserva la carta dell’analfabetismo in Italia nel 1871.

Ora rispondi.
1. La maggior parte degli analfabeti si trovava nell’Italia:
del Nord. 
del Centro. 
del Sud.

2. Le aree con la percentuale minore di analfabeti erano nell’Italia:
del Nord. 
del Centro. 
del Sud.

3. A quali regioni italiane (o parte di regioni) attuali corrisponde l’area con una percentuale di analfabetismo inferiore al 40%?

4. Prima dell’unificazione dell’Italia, la parte del paese in cui nel 1871 c’era la più alta percentuale di analfabetismo apparteneva in prevalenza:
al Regno di Sardegna. 
allo Stato della Chiesa.
all’Impero austriaco. 
al Regno delle Due Sicilie.

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