La guerra diventa mondiale

Gli Stati Uniti entrano nel conflitto

Tra il 1916 e il 1917 la guerra si allargò e si intensificò con l’ingresso degli Stati Uniti d’America a fianco dell’Intesa. Fino ad allora, gli Stati Uniti avevano svolto un ruolo indiretto, rifornendo i paesi amici, Francia e Gran Bretagna, di denaro, grano, vestiti, armi e macchine per l’industria bellica. Fin dall’inizio della guerra, l’Inghilterra aveva fatto valere la sua superiorità navale. La flotta inglese pattugliava il mare del Nord, impedendo i rifornimenti di materie prime e generi alimentari alla Germania. Poiché la guerra si prolungava, la situazione per la Germania divenne insostenibile: la scarsità di viveri era tale che, nonostante i razionamenti, la popolazione tedesca era ridotta alla fame e i soldati erano privi di rifornimenti. Per questo motivo, la Germania adottò la soluzione della guerra sottomarina, per cercare a sua volta di impedire i rifornimenti al proprio nemico più forte. Nel 1917 i tedeschi lanciarono la guerra sottomarina illimitata. Per bloccare i rifornimenti che, via mare, giungevano in Inghilterra, i sottomarini tedeschi attaccarono e affondarono le navi che si avvicinavano ai porti inglesi. Quando i sottomarini tedeschi colpirono alcune navi mercantili americane, il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, dichiarò guerra alla Germania (6 aprile 1917). Subito dopo, inviò truppe fresche e grandi mezzi economici a sostegno dell’Intesa. Alla fine di maggio del 1917 erano operativi in Francia 175 000 soldati americani; l’anno dopo sarebbero diventati circa due milioni.

La forza del denaro

La guerra aveva costi altissimi. Ogni stato dovette aumentare il debito pubblico. In Germania il debito dello stato salì da 5 milioni a 60 miliardi di marchi; in Francia da 32 miliardi di franchi a 173 miliardi. Il vantaggio dei paesi dell’Intesa (Inghilterra e Francia, in primo luogo) fu notevole, perché gli Stati Uniti li finanziarono con grandi prestiti di denaro. Non fecero altrettanto, invece, con la Germania. Ma, per concedere prestiti, è necessario fidarsi del creditore e della sua capacità di restituire le somme ricevute. I capitalisti americani scommettevano sulla vittoria dell’Intesa e così contribuivano a raggiungere quel successo militare che corrispondeva a un loro interesse finanziario. L’ingresso in guerra degli Stati Uniti nel 1917 fu la conseguenza anche di questo impegno finanziario.

La sconfitta della Russia

Alle potenze dell’Intesa, rafforzate dall’ingresso in guerra degli Stati Uniti, venne tuttavia a mancare l’alleato russo. Nel marzo del 1917, a Pietrogrado (l’attuale San Pietroburgo), operai e soldati insorsero contro il governo dello zar, e in tutto il paese scoppiò la rivolta a favore della pace. In ottobre una rivoluzione portò alla caduta definitiva dello zar. Il nuovo governo, guidato dal comunista Lenin, nel novembre del 1917 aprì le trattative con i tedeschi. Si giunse così alla pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918), con cui la Russia cedette alla Germania la Polonia orientale, i paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia) e l’Ucraina.

La disfatta di Caporetto

Un altro momento di difficoltà per i paesi dell’Intesa fu vissuto nell’ottobre del 1917, quando l’Italia subì una disfatta che fece temere la definitiva sconfitta. Le linee militari italiane vennero travolte dall’attacco austriaco, sferrato nei pressi di Caporetto (oggi un comune della Slovenia). Con l’appoggio di sette divisioni tedesche, gli austriaci avanzarono gettando nello scompiglio l’esercito italiano. Caddero prigionieri circa 300 000 uomini; altrettanti si sbandarono; più di metà dei pezzi dell’artiglieria andò perduta.

Le truppe Italiane in ritirata dopo la disfatta di Caporetto.

LA GUERRA IN AFRICA E IN ASIA

Nel corso di tutto il conflitto, le operazioni militari si svolsero anche in Africa e Asia. Le scarse forze tedesche presenti nelle colonie in Africa furono costrette a cedere sotto gli attacchi alleati, i quali conquistarono il Camerun, l’Africa del Sud-Ovest e l’Africa Orientale Tedesca. Nel Pacifico, un contingente anglo-australiano si assicurò i territori tedeschi di Samoa, delle Bismarck e della Nuova Guinea. A loro volta i giapponesi strapparono ai tedeschi la provincia cinese dello Shantung e le isole Marshall, Marianne, Caroline e Palau.

I «ragazzi del ‘99»

Alla notizia della disfatta di Caporetto, seguì la formazione di un nuovo governo di emergenza nazionale, composto da quasi tutti i partiti presenti in Parlamento. Fu presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, che faceva parte dei liberali guidati da Giolitti. Cadorna fu sostituito dal generale Armando Diaz, che divenne il nuovo capo delle nostre forze armate. Si cercò di correre ai ripari chiamando sotto le armi la leva del 1899, composta da diciottenni. Con un grande sforzo militare l’esercito riuscì infine a fermare lo sfondamento austriaco, attestandosi lungo i fiumi Tagliamento e Piave, in Veneto. Resistendo contemporaneamente in pianura e sulle montagne (violente battaglie furono combattute sulle pendici del Monte Grappa, in Veneto), i soldati italiani impedirono che la sconfitta si trasformasse in disfatta definitiva.

Caporetto: di chi fu la colpa?

La tragedia di Caporetto fu così grave e destò una tale impressione sull’opinione pubblica che la parola «Caporetto» è rimasta nel linguaggio comune per indicare una sconfitta rovinosa. Sulle ragioni di una tale sconfitta, le opinioni furono contrastanti. Gli alti comandi italiani, e in primo luogo il generale Cadorna, non ammisero mai alcuna responsabilità. Essi accusarono piuttosto i soldati di essersi dati alla fuga davanti al nemico. Inoltre attribuirono la colpa della sconfitta al governo, ai partiti di opposizione e alla stampa, accusati di non credere abbastanza nella vittoria e di deprimere così il morale delle truppe. Secondo una diversa interpretazione, invece, gli ufficiali italiani ebbero pesanti responsabilità: si fecero cogliere impreparati dall’offensiva austriaca e non seppero organizzare ordinatamente la ritirata. Inoltre la condotta degli alti ufficiali, che mostravano un assoluto disprezzo per la vita dei soldati, mandandoli al massacro in inutili offensive, non aveva ottenuto nessun risultato. Va detto, però, che questo era un atteggiamento di tutti i generali, non solo di quelli italiani.

Ribellioni al fronte e rivolte nelle città

Il 1917 fu un anno difficile non solo per l’Italia. Stremati dalla guerra, tutti gli stati europei erano in condizioni economiche disastrose. Mancavano i rifornimenti alimentari e in Germania molti abitanti soffrivano letteralmente la fame. I prezzi salivano continuamente; la gente era sempre più ostile a una guerra che sembrava interminabile. Nelle fila degli eserciti si registravano fenomeni di ribellione, con atti di indisciplina e diserzioni. Gli ufficiali reprimevano le rivolte in modo spietato: fucilazioni, decimazioni, ordini di sparare sui compagni che rifiutavano di uscire dalle trincee o che si ritiravano sotto il fuoco nemico. Lontano dal fronte, in molte città si susseguivano scioperi e manifestazioni popolari contro la guerra. In questa situazione di stanchezza e di sfiducia, la guerra poteva essere vinta dallo stato che avesse resistito un giorno di più dell’avversario.

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I fronti di guerra (1917-1918)

CULTURA & stili di vita

La propaganda di guerra

La guerra, almeno all’inizio, fu vissuta con una passione sfrenata in tutti i paesi. I veri motivi del conflitto (la volontà di potenza, gli interessi economici, ecc.) non furono detti chiaramente, grazie a una propaganda che - in tutti i paesi coinvolti - voleva far credere che si combattesse per motivi ideali, in difesa di valori. I paesi dell’Intesa esaltarono il conflitto come lotta per la libertà dei popoli. Invece in Germania la guerra fu considerata il giusto strumento per dare un posto di rilievo ai popoli giovani (come pensavano di essere i tedeschi), contro l’imperialismo francese e soprattutto inglese.

La «guerra giusta» nei manifesti del 1914-1918
Proprio come succede oggi, anche nel primo Novecento la propaganda si affidava soprattutto alla forza delle immagini. A quel tempo la televisione non esisteva ancora, mentre il cinema era nato da poco. Per fare propaganda in favore della guerra, i governi si affidarono soprattutto ai manifesti. Venivano affissi sui muri delle strade, nelle piazze, nelle stazioni, ossia nei luoghi di maggiore passaggio, perché molte persone potessero leggerli.

Sui giornali sempre e solo vittorie
Raramente la popolazione veniva a conoscenza di quanto capitava realmente al fronte. Le lettere dei soldati erano lette dai censori dell’esercito, che cancellavano le frasi che contenevano critiche o semplicemente descrivevano le reali condizioni dei soldati al fronte. Un altro mezzo di informazione (o di «disinformazione ») era costituito dalle fotografie e dalle illustrazioni. Quasi mai i fotografi riprendevano scene di combattimento, perché non potevano avvicinarsi alla prima linea; inoltre erano controllati dai comandanti dell’esercito, che volevano da loro solo immagini di eroismo e di successi. I disegnatori, che al fronte non ci andarono, ma si ispirarono alle foto e ai rapporti ufficiali dell’esercito, non diedero quasi mai una rappresentazione reale della guerra.

I messaggi pacifisti
C’erano però anche giornali di opposizione, che pubblicavano articoli contrari alla guerra. Anch’essi facevano spesso ricorso alle immagini per dare più efficacia ai loro messaggi. Raramente poterono servirsi di fotografie. Pubblicarono piuttosto disegni dal chiaro significato simbolico (come la copertina del giornale «L’Asino» che è riportata qui sotto in LEGGERE LE IMMAGINI). Più la guerra si prolungava, più la propaganda dei governi diventò massiccia. Ma anche i partiti e le organizzazioni che si opponevano alla guerra (i «pacifisti» diremmo oggi) non tacevano. Per esempio, i socialisti italiani (neutralisti fin dal 1914) continuarono a sostenere la loro idea, e cioè che la guerra era fatta per gli interessi degli industriali e dei governi imperialisti, e non del popolo.

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Civiltà contro barbarie
Questo manifesto italiano è un esempio di come veniva rappresentata la «guerra giusta».
L’Italia è una donna che, con la spada in pugno, respinge il barbaro invasore (cioè gli austriaci).

L’immagine si ispira alle glorie dell’antica Roma. Ciò è reso evidente dall’abbigliamento della donna, dal gladio (la corta spada dei legionari romani) che impugna, dal nemico rappresentato come uno dei barbari che invasero l’Impero romano nel IV-V secolo. La rappresentazione del nemico come «barbaro» intende suggerire che la guerra si combatteva per la difesa della civiltà (rappresentata dall’Italia) contro la barbarie (gli austriaci e i tedeschi, popoli germanici come i barbari contro i quali combatté l’antica Roma).

In primo piano c’è la bandiera italiana di allora, con lo stemma dei Savoia al centro.

Man mano che la guerra si prolungava, i governi ebbero difficoltà nel trovare il denaro per pagare le armi, le munizioni, il carburante e tutto quanto serviva per rifornire l’esercito. Perciò lanciarono delle campagne di propaganda per chiedere ai cittadini di fare un «prestito di guerra» allo stato.

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«L’Asino» pacifista
«L’Asino» era un settimanale che si pubblicava in Italia e che aveva voluto chiamarsi così perché «l’asino è come il popolo: umile, paziente e bastonato». Fedele al suo obiettivo di stare dalla parte del popolo, «L’Asino» prese posizione contro la guerra e la espresse, per esempio, nella pagina che vedi qui sotto.
Sullo sfondo, si vede una folla composta in prevalenza da donne. Il messaggio è: le donne italiane non vogliono che i loro figli e mariti vadano in guerra.

L’uomo che spezza il fucile propone un messaggio inequivocabile: il popolo non vuole la guerra e dovrebbe ribellarsi, rifiutando di andare al fronte.

Il messaggio pacifista è espresso nel modo più chiaro e sintetico possibile.

Disegnare per la pace... OGGI

La propaganda pacifista è ancora oggi più che mai necessaria. E, oggi come allora, la forza delle immagini può dare un contributo importante alla causa della pace nel mondo. Per questo, nel corso degli anni, si sono continuati a disegnare e diffondere manifesti pacifisti. Alcuni li hanno disegnati artisti celebri, come Pablo Picasso e Fernand Léger; li hanno realizzati organizzazioni internazionali, come l’ONU, e associazioni che difendono i diritti civili, come Amnesty International. Organizzatevi in gruppi e cercate su internet i manifesti pacifisti. Scegliete quelli che vi sembrano più efficaci e realizzate una «galleria di manifesti per la pace», aggiungendo a ciascuno una breve didascalia, cioè una «frase forte» che dia un messaggio pacifista efficace. Poi ciascun gruppo provi a disegnare un manifesto in favore della pace.

La sconfitta degli Imperi centrali

Una volta uscita la Russia dalla guerra, le sorti del conflitto si decisero sul fronte occidentale (Francia e Gran Bretagna contro Germania) e su quello meridionale (Italia contro Austria e Germania). Le armate tedesche lanciarono un’ultima, disperata offensiva sulla Marna, come avevano fatto nel 1914. Tuttavia non riuscirono a sfondare le linee difese da inglesi e francesi. In realtà, tutti gli eserciti erano esausti e indeboliti da diserzioni e rifiuti di combattere. Aumentava il numero dei prigionieri, segno che molti soldati preferivano consegnarsi al nemico. In Germania scoppiarono scioperi e violente insurrezioni. Nel novembre del 1918 l’imperatore Guglielmo II fu costretto ad abdicare e il governo tedesco firmò l’armistizio con le potenze dell’Intesa.

La vittoria italiana

Nell’autunno del 1918 l’esercito italiano scatenò un’offensiva che travolse gli austriaci (battaglia di Vittorio Veneto). Le truppe italiane attraversarono il Piave la sera del 24 ottobre 1918. Altri reparti di fanti entrarono poco dopo a Trento e un reparto di bersaglieri prese Trieste. L’Austria chiese allora l’armistizio, che stabilì la cessazione degli scontri per le ore 15 del 4 novembre 1918. Per l’Italia finì in quel giorno la Prima guerra mondiale.

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Il fronte italiano
                                         

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