Una pace senza pace

Meno uomini, meno ricchezze

Come hai visto nel capitolo 5, il lungo e sanguinoso conflitto del 1914-1918 ebbe drammatiche conseguenze per l’Europa. C’erano stati dieci milioni di morti: come se, oggi, morissero gli abitanti dell’intera città di New York. Il costo economico era stato altrettanto alto. Nel 1918 la produzione era in crisi e le uniche industrie che avevano guadagnato dalla guerra, ossia le industrie di armi e di attrezzature militari, dovevano essere riconvertite. Ciò significa che dovevano smettere di produrre armamenti e tornare a fabbricare oggetti utili in tempo di pace. Per questo cambiamento, però, ci volevano soldi e tempo. Tutti gli stati, sia i vincitori sia i vinti, per anni avevano dovuto finanziare le forti spese militari. Perciò adesso non avevano più soldi. In Italia il debito dello stato era quadruplicato fra il 1914 e il 1918.

Cresce la disoccupazione

La disoccupazione raggiunse ovunque livelli elevati, mentre i prezzi dei generi alimentari salivano e il valore del denaro scendeva: è il fenomeno chiamato inflazione. Siccome i salari non erano aumentati, le condizioni dei lavoratori erano peggiorate. Gli uomini tornati dal fronte incontravano difficoltà a trovare lavoro. Durante la guerra, i governi avevano promesso che, in caso di vittoria, le terre sarebbero state distribuite ai contadini e ci sarebbe stato lavoro per tutti. Ma queste promesse non furono mantenute.

Occupazione delle fabbriche e dei campi

In Italia, nel dopoguerra, la situazione sociale si faceva sempre più tesa. Nel 1919, al Sud, migliaia di contadini occuparono le terre dei latifondisti. Nel Nord i sindacati organizzarono scioperi e nel 1920 in diverse città gli operai iniziarono l’occupazione delle fabbriche. Gli operai non chiedevano soltanto aumenti di salario, ma volevano assumere la direzione delle aziende, togliendola ai proprietari. Nel 1919-1920 le agitazioni sociali furono così intense e continue che quei due anni furono chiamati «biennio rosso» (il rosso è il colore dei socialisti e del movimento operaio). Il governo, presieduto da Giovanni Giolitti, non mandò l’esercito e la polizia a sgomberare le fabbriche, come gli industriali avrebbero voluto. Giolitti aspettò che l’occupazione cessasse spontaneamente. Alla fine, tra gli operai prevalse un atteggiamento moderato e l’occupazione cessò.


I socialisti si dividono

Di fronte all’occupazione delle fabbriche, il principale partito di Sinistra, il Partito socialista, si divise. Alcuni socialisti pensavano che l’Italia fosse pronta per una rivoluzione come quella della Russia. L’esperienza delle proteste degli operai di Torino convinse qualche dirigente politico, tra cui Antonio Gramsci, a fondare nel 1921 il Partito comunista d’Italia, che aveva come modello la Rivoluzione russa. Al contrario, i socialisti moderati credevano che non si dovesse fare la rivoluzione, ma proseguire nelle riforme e nelle lotte sindacali per migliorare le condizioni degli operai: questi socialisti fondarono il Partito socialista unitario.

Il partito dei cattolici

Nel 1919 nacque un altro nuovo partito: il Partito popolare italiano. Si ispirava al cattolicesimo e fu fondato da un sacerdote, don Luigi Sturzo, con l’approvazione del papa. I popolari di don Sturzo seguivano le dottrine sociali della Chiesa, e quindi non erano conservatori, ma neppure socialisti. Rappresentavano un’autentica novità, in quanto per la prima volta nella storia italiana c’era un partito dei cattolici, che poteva contare sull’appoggio organizzativo della Chiesa (parrocchie, istituti religiosi, associazioni caritative).

GRAMSCI E STURZO, UNITI DALL’ANTIFASCISMO

Antonio Gramsci è stato un politico, filosofo e giornalista. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito comunista d’Italia e nel 1926 venne incarcerato dal regime fascista, che lo condannò a vent’anni di carcere. Fu liberato nel 1937 perché malato e morì poco dopo. In carcere Gramsci continuò a studiare e a scrivere. I suoi testi furono pubblicati nel 1947 con il titolo Quaderni del carcere ed ebbero grande influenza sul pensiero e sulla cultura italiana. Luigi Sturzo, sacerdote, originario della Sicilia, fu segretario di un’importante associazione chiamata Azione Cattolica. Fondò il Partito popolare, che si divise di fronte al fascismo: alcuni esponenti del Partito popolare appoggiarono il fascismo, altri no. Don Sturzo fu tra quelli che contrastarono il regime. Per questo motivo scelse volontariamente di andare in esilio, da cui fece ritorno nel 1946, contribuendo a fondare il nuovo partito dei cattolici, chiamato Democrazia Cristiana.

I Fasci di combattimento

Nel dopoguerra nacque anche un’altra formazione politica, fondata da Benito Mussolini. Mussolini era stato una figura importante del Partito socialista e il direttore del giornale «L’Avanti!». Espulso dal partito nel 1914 a causa delle sue posizioni favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia, volontario al fronte ma senza mai partecipare ad alcun combattimento, Mussolini aveva continuato a svolgere propaganda a favore della guerra e contro i socialisti. Nel 1919 fondò un’organizzazione chiamata «Fasci di combattimento» (da qui deriva il nome «fascista»), a cui aderirono ex combattenti della Prima guerra mondiale, borghesi antisocialisti, sindacalisti rivoluzionari e persino qualche anarchico. Nell’ambito di questa associazione si formarono le squadre delle camicie nere, così chiamate per il colore della loro divisa. Armati di manganelli, fucili e pistole, i fascisti assaltavano le sedi dei sindacati e dei partiti di Sinistra. Nell’aprile del 1919 assalirono e incendiarono l’edificio del giornale socialista «L’Avanti!» a Milano.

Gli anni decisivi

Tra il 1921 e il 1922 il movimento fascista aumentò la sua forza, perché aveva l’appoggio di molte parti della società. Nel Nord erano gli agrari, ossia i grandi proprietari di terre, a sostenerlo maggiormente. Essi appoggiavano il fascismo perché era nemico dei socialisti e dei sindacalisti, che organizzavano scioperi e occupazioni delle terre. Per lo stesso motivo anche molti industriali simpatizzavano per i fascisti. Lo stato stesso tollerò le violenze delle camicie nere, senza intervenire mai con decisione per farle cessare e arrestare i responsabili. I fascisti tentavano quindi di presentarsi come un partito capace di riportare l’ordine e la pace sociale nel paese. Per questo ottennero le simpatie di molti italiani, soprattutto dei ceti medi (impiegati, piccoli commercianti, piccoli proprietari terrieri), allarmati dai continui scioperi e dall’instabilità politica.

Lo squadrismo

Il volto violento del fascismo si manifestò in molti episodi. Nelle campagne emiliane, dove i socialisti erano forti, perché governavano molti comuni e guidavano le cooperative di contadini, si scatenò la violenza delle squadre fasciste, finanziate dagli agrari. Nel 1921 gli attacchi armati provocarono circa 600 morti. In molti casi le azioni dello squadrismo fascista (chiamato così perché le camicie nere erano organizzate in squadre d’assalto) rimasero impunite, perché esercito e polizia non intervennero. Tutto ciò avveniva in un clima di forte tensione, in cui anche gli avversari usarono talvolta metodi violenti per difendersi o per cercare di scatenare la rivoluzione.

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