Il fascismo al potere

I fascisti in Parlamento

Nel 1921 i Fasci di combattimento cambiarono nome e si organizzarono in partito, il Partito nazionale fascista. Con questo passaggio, Mussolini volle indicare che lo scopo del fascismo era conquistare il governo del paese. Al partito fornì un programma basato sull’esaltazione di un governo autoritario e sul rifiuto della democrazia. Non escludeva, anzi promuoveva l’uso della violenza come metodo di lotta politica. Il Partito fascista si presentò alle elezioni del 1921, ma ottenne un risultato modesto: solo 35 deputati.

La marcia su Roma

Nell’ottobre del 1922 Mussolini decise di compiere il passo decisivo per la conquista del potere. Approfittando della debolezza del governo presieduto da Luigi Facta, organizzò la cosiddetta «marcia su Roma». Le camicie nere si diressero a Roma (28 ottobre 1922) per chiedere le dimissioni del governo. Facta si rivolse al re perché sciogliesse la manifestazione con l’intervento dell’esercito e dei carabinieri. Il re Vittorio Emanuele III si oppose e affidò anzi a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo. Mussolini, che non aveva partecipato alla marcia su Roma, si precipitò nella capitale per ricevere l’incarico. Così, attraverso una specie di colpo di stato e con la complicità della monarchia, i fascisti erano giunti al governo.

Il fascismo al governo

Dapprima i fascisti governarono insieme con i liberali e una parte dei cattolici. Tuttavia non rinunciarono all’uso della violenza. Nel 1923 fu creata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: era un organo dello stato ma era formato dai vecchi squadristi, che continuarono a commettere violenze ai danni degli avversari politici del fascismo, cioè socialisti, comunisti e sindacalisti. Nel 1923 fu votata una nuova legge elettorale, che dava la maggioranza dei deputati in Parlamento al partito che avesse ottenuto più di un quarto dei voti. La lista elettorale dei fascisti alle elezioni del 1924 ottenne questo risultato. Gli italiani espressero quindi un voto favorevole al fascismo, ma le elezioni non furono libere. Infatti i fascisti esercitarono violenze e minacce contro i candidati dei partiti di opposizione. In quei mesi alcuni uomini che denunciarono il carattere antidemocratico del fascismo furono bersaglio di violenze personali. Fu il caso, tra gli altri, del giornalista e intellettuale liberale Piero Gobetti. Nel 1924 a Torino fu aggredito e picchiato dai fascisti e morì in seguito alle lesioni subite.

I RISULTATI DELLE ELEZIONI DEL 1921
PARTITO SOCIALISTA 123 deputati
PARTITO POPOLARE 108 deputati
LIBERALI 111 deputati
FASCISTI 35 deputati

I RISULTATI DELLE ELEZIONI DEL 1924             

VOTI DEP.
LISTA FASCISTA 4 300 936 356
LIBERALI 233 521 19
POPOLARI 645 789 39
SOCIALISTI 422 957 24
COMUNISTI 268 191 19

Il delitto Matteotti

Giacomo Matteotti, deputato socialista, osò denunciare in un discorso al Parlamento le violenze e i brogli commessi dai fascisti in occasione delle elezioni del 1924. Pochi giorni dopo, fu rapito e ucciso (giugno 1924). Nel paese l’emozione fu grande. Molti chiesero le dimissioni di Mussolini, mentre la maggioranza dei deputati antifascisti abbandonò per protesta il Parlamento. Mussolini fece subito licenziare i direttori dei giornali e i giornalisti che avevano dato rilievo all’accaduto, e ordinò altre violenze nei confronti degli oppositori. Il 3 gennaio 1925 tenne un discorso in Parlamento e si assunse la responsabilità dell’assassinio di Matteotti. Ciononostante rimase ancora più saldamente al suo posto di capo del governo. Gli italiani non protestarono; il re, che lo avrebbe potuto licenziare, non lo fece.

GLOSSARIO

Broglio
Manipolazione e irregolarità nel conteggio dei voti per cambiare la volontà espressa dagli elettori.

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La propaganda del fascio
Osserva questo manifesto di propaganda del Partito fascista per le elezioni del 1924.

1 Il manifesto mostra un giovane dallo sguardo deciso. Indossa la camicia nera, cioè la divisa delle squadre armate fasciste. La mano sinistra con il braccio alzato è chiusa a pugno: questo gesto fu simbolo di lotta non solo dei fascisti, ma anche dei comunisti.

2 L’uomo porta a tracolla un fucile, per indicare che il fascismo non rifiuta la lotta armata ed è disposto a praticarla per prendere e difendere il potere.

3 Nella mano destra stringe un fascio littorio, il simbolo da cui il fascismo prende il nome. Si tratta di un’insegna di origine etrusca, adottata poi nell’antica Roma. Era costituita da un mazzo di verghe, tenute insieme da cinghie, che avvolgono una scure. Il fascio nell’antica Roma era portato dai littori, cioè dagli ufficiali che scortavano le autorità in occasione di parate pubbliche.

Lo stato fascista

A quel punto, visto che veniva tollerato perfino l’assassinio di un deputato, Mussolini portò fino in fondo il suo programma. Sciolse i partiti dell’opposizione; vietò gli scioperi; abolì i sindacati non fascisti; mise sotto controllo la stampa. Trasferì i poteri di guida del paese al Gran consiglio del fascismo, composto da capi del Partito fascista. Nel 1926 nominò un Tribunale speciale, incaricato di condannare coloro che si opponevano al fascismo. Il tribunale inflisse pesanti condanne agli oppositori di qualunque parte politica: socialisti, comunisti, liberali e cattolici. Don Sturzo andò in esilio. Gramsci morì dopo dodici anni di carcere. Turati, socialista moderato, si rifugiò a Parigi. Il socialista Sandro Pertini scontò molti anni di confino. Migliaia di altri antifascisti ebbero identica sorte.

Chi ha il coraggio di votare NO?

Nel 1929 la democrazia fu totalmente soppressa. Le elezioni furono abolite e sostituite da un plebiscito. Funzionava nel modo seguente. Gli elettori potevano votare SÌ o NO per approvare la lista dei deputati scelti dal Gran consiglio del fascismo. Ricevevano due schede. Su una era scritto: «Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo? SÌ». Sull’altra: «Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo? NO». Le schede erano facilmente identificabili: quella con il SÌ era a strisce tricolori; quella con il NO era bianca. L’elettore consegnava la scheda che intendeva votare nelle mani degli scrutatori. Come è facile capire, questo sistema serviva a identificare la scelta dell’elettore. La segretezza del voto non era garantita. Solo pochi italiani ebbero il coraggio di dire NO: i NO furono 130 000, contro gli 8 milioni di SÌ.

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Matteotti difende il Parlamento
Riportiamo il testo di uno degli ultimi appunti presi da Matteotti su un foglio intestato della Camera dei deputati, in cui denuncia la pericolosità della situazione.
"Perciò noi siamo per il Parlamento e ne difendiamo la funzione legislativa e di controllo. Gli italiani guardano esterrefatti a tale contrasto fondamentale in cui la rivoluzione sembra affidata all’arbitrio di un uomo e di un partito, che solo dispone di una forza armata al proprio servizio."

In questo appunto Matteotti denuncia il motivo di fondo per cui il Partito fascista è diverso da tutti gli altri e incompatibile con uno stato parlamentare. Qual è questo motivo?
Dipende dall’arbitrio di un uomo. 
Dispone di una forza armata. 
Rifiuta di entrare in Parlamento.

La posizione della Chiesa

Nel 1929 fu firmato un accordo che metteva fine alla lite che durava dal 1870, l’anno in cui l’esercito italiano aveva occupato Roma e conquistato lo Stato pontificio. Nell’accordo, chiamato «Patti lateranensi», lo stato italiano riconosceva come indipendente lo Stato del Vaticano (il piccolo territorio dentro la città di Roma, formato da piazza San Pietro, dai palazzi del papa e da altre chiese). Il cattolicesimo fu dichiarato religione ufficiale dello stato italiano. L’insegnamento della religione cattolica a scuola fu reso obbligatorio. Il matrimonio celebrato in chiesa ebbe valore di matrimonio civile. Ai sacerdoti, esonerati dal servizio militare, fu assegnato uno stipendio pagato dallo stato. Con questo accordo Mussolini guadagnò l’approvazione di molti cittadini cattolici, che vedevano in lui un alleato della Chiesa e colui che, dopo tanti anni, era riuscito a mettere d’accordo lo stato italiano e la Chiesa.

Il fascismo e il mondo del lavoro

Il fascismo diede nuove regole al mondo del lavoro e al rapporto tra imprenditori e dipendenti. Creò i sindacati fascisti, che dipendevano dal governo. Definivano i contratti di lavoro, ossia le regole che lavoratori e imprenditori dovevano accettare. Furono vietati sia lo sciopero sia la serrata. Durante il fascismo furono riconosciute importanti tutele ai dipendenti pubblici e privati: l’orario di lavoro settimanale di 48 ore (prima era, in genere, più alto), il diritto alle ferie retribuite e il diritto alla pensione. Furono organizzate associazioni aziendali chiamate «dopolavoro», che si occupavano del tempo libero dei lavoratori, organizzando feste, gite, vacanze e intrattenimenti per le famiglie.

La riforma della scuola

Uno dei primi atti del governo Mussolini fu una riforma della scuola, realizzata dal ministro e filosofo Giovanni Gentile nel 1923. Prevedeva un esame a conclusione di ogni ciclo di studi, mettendo sullo stesso piano scuole pubbliche e private. La scuola dell’obbligo fu elevata a 14 anni. La riforma divideva gli studi superiori in due percorsi. L’uno, basato sul liceo classico, portava all’università e serviva a formare una classe dirigente preparata; l’altro, invece, si basava sull’istruzione tecnica.

GLOSSARIO

Serrata

La chiusura temporanea dell’azienda per decisione del proprietario. In genere veniva effettuata in risposta a uno sciopero o comunque per manifestare la volontà di respingere le richieste dei lavoratori.

L’uomo fascista

Mussolini e i suoi uomini cercarono di educare gli italiani ai valori fascisti: lo spirito militare, il senso dell’obbedienza all’autorità, il culto della forza fisica. Nelle scuole elementari fu imposto il libro unico di testo, uguale per tutti gli scolari di tutte le scuole d’Italia. Nelle pagine dedicate alla storia del Novecento, il testo esaltava Mussolini, descritto come l’uomo che avrebbe restituito all’Italia il prestigio e lo splendore dell’epoca dell’Impero romano. Egli stesso aveva scelto per sé il titolo di duce, parola di derivazione latina che significa «condottiero». Fuori della scuola i giovani erano inquadrati nelle associazioni giovanili fasciste, divise per classi di età: i maschi erano «Figli della lupa» dai 4 agli 8 anni, «Balilla» dagli 8 ai 14, «Avanguardisti» dai 14 ai 17 anni; le ragazze erano prima «Piccole italiane» e poi «Giovani italiane». Educati a una disciplina di tipo militare, i giovani facevano esercizi ginnici, sfilate ed esercitazioni militari.

Economia e stato

Negli anni Trenta divennero più numerosi gli interventi dello stato in economia. Per affrontare la grave crisi economica, che aveva dimensioni mondiali, fu istituito l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). L’IRI fu incaricato di assistere le aziende in difficoltà e di pagare i debiti che queste avevano con le banche. L’intervento ebbe successo, così l’IRI assunse la proprietà di molte imprese. Era un’autentica novità nel capitalismo italiano, che fino ad allora si era basato sull’iniziativa dei privati. Furono realizzate grandi opere pubbliche: strade e autostrade, ospedali e scuole, ferrovie e centrali idroelettriche.

La battaglia del grano

Mussolini lanciò la cosiddetta «battaglia del grano», con lo scopo di aumentare la produzione di cereali e far cessare le importazioni dall’estero. Nel 1925 l’Italia importava 25 milioni di quintali di frumento, su un consumo totale di 75 milioni di quintali. L’aumento della produzione fu ottenuto con diversi metodi: fu ampliata la superficie coltivata a grano, migliorata la qualità dei semi, curata l’istruzione dei contadini e furono introdotti concimi chimici e macchine agricole. Lo stesso Mussolini si fece fotografare mentre seminava, trebbiava, conduceva trattori. Nonostante questo sforzo propagandistico, però, i risultati della battaglia del grano furono piuttosto modesti. Per aumentare la produzione agricola furono bonificate alcune aree paludose, in particolar modo nell’Agro Pontino (Lazio) e in Maremma (Toscana).

LA LUNGA STORIA DELLE BONIFICHE

Bonificare un terreno paludoso consiste nel prosciugarlo dall’acqua stagnante e nel convogliare l’acqua in canali in cui farla scorrere regolarmente. Le zone paludose sono poco produttive e molto nocive alla salute, perché sono il terreno ideale per lo sviluppo di alcune gravi malattie, come la malaria. Questa, chiamata anche «paludismo », è causata da parassiti trasmessi all’uomo da un tipo di zanzara che si riproduce nelle paludi. La malaria porta alla debilitazione del corpo e talvolta anche alla morte. All’inizio del Novecento, Giovanni Giolitti aveva iniziato a intervenire nelle zone paludose, promuovendo bonifiche con i finanziamenti dello stato. Il fascismo proseguì ed estese i progetti di bonifica nel 1933. Si raggiunsero notevoli risultati con il recupero di vaste aree.


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La terra strappata alle acque
Un grande pannello, dipinto nel 1934 e conservato a Latina, è dedicato alla bonifica dell’Agro Pontino. Si tratta di una tipica opera pittorica di propaganda, che esalta le iniziative del regime fascista.

1 I contadini portano in spalla i sacchi con le sementi. Il pittore vuole sottolineare che le opere del fascismo danno pane e lavoro a molta gente.

2 In primo piano c’è l’immancabile fascio littorio, simbolo del fascismo.

3 Dove fino a pochi anni prima c’erano le paludi, ora i campi coltivati si estendono a perdita d’occhio.

4 Gli uomini in primo piano levano in alto le pale, simbolo del lavoro che ha permesso di bonificare la regione.

5 Sullo sfondo è raffigurata la città di Latina, fondata durante il fascismo. Si vedono alcuni edifici in costruzione, circondati da impalcature.

CULTURA & stili di vita

Italiani in vacanza e al volante

Andiamo al mare o in montagna?
Dalla metà degli anni Trenta, grazie allo sviluppo della rete stradale e ferroviaria, un maggior numero di italiani cominciò a scoprire il gusto di viaggiare. Nacque in quegli anni il turismo di massa. Per molti italiani concedersi una vacanza divenne possibile perché fu riconosciuto il diritto alle ferie retribuite, così come era avvenuto in Francia e in Inghilterra. Il turismo estivo, fino ad allora riservato a pochi, cominciò a essere praticato anche dai ceti popolari: i bagni al mare, i soggiorni in montagna, i viaggi nelle località storiche iniziarono a divenire abitudine di molti. Rimini, Riccione, la Versilia, le località della costa ligure divennero le mete estive predilette.

Colonie e campeggi per i ragazzi
Il fascismo favorì il diffondersi della villeggiatura con il sostegno ai dopolavoro. Le aziende e i comuni organizzarono colonie estive gratuite per i figli dei dipendenti e per i ragazzi delle città, in luoghi di montagna e di mare. Le associazioni fasciste inaugurarono i primi campeggi per ragazzi (li chiamarono Campi Mussolini). Inoltre le particolari agevolazioni riservate a chi viaggiava di domenica sui treni consentirono a molti abitanti delle campagne e delle montagne del Nord di vedere per la prima volta il mare.

Sempre più italiani al volante
Agli italiani l’industria fornì automobili che avevano prezzi accessibili anche a persone di reddito medio. Nel 1932 la Fiat produsse la Balilla, che fu un successo. Il vero cambiamento lo fece nel 1936 producendo il modello 500, chiamato Topolino, la prima utilitaria italiana.


1935: donne pedalano allegramente in bicicletta sulla spiaggia.

Italiani a confronto... IERI E OGGI

La tabella mette a confronto l’Italia degli anni Trenta con quella di oggi, presentando alcuni dati statistici. La colonna con i dati di oggi è incompleta: completala tu, cercando le informazioni su internet. Poi scrivi sul tuo quaderno un commento alla tabella, mettendo in evidenza in quali aspetti la vita degli italiani è cambiata di più e quali cambiamenti ti hanno maggiormente colpito.

L’autarchia

Con la bonifica delle campagne il fascismo tentò di offrire ai contadini l’opportunità di lavorare in forme moderne e vantaggiose. Tale scelta rientrava nella politica chiamata «autarchia». Essa aveva come obiettivo l’autosufficienza economica del nostro paese: si volevano cioè produrre sul territorio nazionale i beni che gli italiani consumavano o utilizzavano, limitando e quasi annullando gli scambi con l’estero. In campo industriale, uno degli aspetti dell’autarchia fu la valorizzazione delle risorse minerarie italiane. In questa prospettiva furono fondate due nuove città: Pomezia, nell’Agro Pontino, e Carbonia nell’area del bacino carbonifero del Sulcis, in Sardegna. Altre città nuove, come Littoria (oggi Latina) nel Lazio o Fertilia in Sardegna, sorsero nelle aree agricole recuperate con le bonifiche.

I fuoriusciti

Mentre il fascismo governava l’Italia con questi metodi, gruppi di oppositori si organizzavano nella clandestinità e all’estero. Numerosi antifascisti si rifugiarono all’estero, chiedendo asilo politico alla Francia, alla Svizzera, agli Stati Uniti. Erano i cosiddetti «fuoriusciti». Il principale centro di confluenza dei dissidenti fu Parigi, la città nella quale trovarono accoglienza dirigenti socialisti, comunisti, liberali e giovani intellettuali antifascisti. A Parigi il Partito comunista aveva un centro organizzativo, sotto la direzione di Palmiro Togliatti, che coordinava azioni di propaganda in Italia. Questa propaganda, naturalmente, doveva essere clandestina, cioè fatta di nascosto. Nel 1929, a Parigi, fu fondato il movimento Giustizia e Libertà per iniziativa dei fratelli Carlo e Nello Rosselli e di altri intellettuali democratici. Gruppi di Giustizia e Libertà si formarono in Italia soprattutto tra gli studenti universitari, molti dei quali (come Ferruccio Parri e Leone Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene carcerarie. 

«NON MOLLARE!»

Carlo Rosselli, nato a Roma nel 1899, aveva studiato all’università con Gaetano Salvemini, professore di storia. Dopo il delitto Matteotti, aderì al Partito socialista unitario. Con Salvemini e altri intellettuali antifascisti fondò il giornale «Non mollare!». Aiutò l’anziano fondatore del Partito socialista, Filippo Turati, a lasciare l’Italia e a rifugiarsi a Parigi. Per questo motivo fu condannato al confino a Lipari, da dove fuggì per emigrare in Francia. Fu assassinato con il fratello Nello da una banda fascista francese, assoldata dal servizio segreto militare italiano su indicazione di Mussolini.

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