Gli Stati Uniti e la grande crisi del 1929

Cambia il lavoro di fabbrica

Al termine della Prima guerra mondiale si realizzò un importante cambiamento: gli Stati Uniti conquistarono il primo posto nell’economia mondiale. Nei dieci anni successivi alla guerra, cioè tra il 1918 e il 1928, le aziende degli Stati Uniti fabbricavano quasi la metà di tutti i prodotti industriali del mondo. Nelle fabbriche fu adottato un metodo di lavoro più produttivo, che era stato elaborato dall’ingegnere americano Frederick Taylor, ed era stato sperimentato nell’azienda automobilistica Ford. Questo sistema era basato sulla catena di montaggio e sulla rigida divisione dei compiti. Ciascun operaio svolgeva sempre e solo una specifica e ben delimitata azione, che costituiva un segmento dell’intero processo di produzione. Ad esempio, alcuni operai montavano le portiere dell’auto, altri verniciavano la carrozzeria, e così via, sempre ripetendo gli stessi gesti. Questa nuova organizzazione del lavoro consentiva risparmi sui tempi e sui costi di produzione, ma costringeva gli operai a ritmi lavorativi molto elevati. Infatti ogni operaio doveva concludere rapidamente il suo compito per permettere al compagno di compiere l’operazione successiva, e così via.

Nasce la società dei consumi

Guadagnare e arricchirsi per poter comperare sempre nuovi beni: questo fu lo stile di vita che si affermò in America dopo la guerra. Stava nascendo la società dei consumi. Era un sistema economico basato sulla forte domanda di prodotti industriali e agricoli da parte dei singoli individui e delle famiglie. I tre fattori che, negli Stati Uniti, crearono la società dei consumi furono:
1. salari più alti di quelli pagati in Europa;
2. diffusione delle vendite a rate;
3. uso massiccio della pubblicità per invogliare i cittadini ad acquistare prodotti di consumo.

Zone d’ombra

Nonostante la crescita economica e il benessere che ne era derivato, la società americana aveva alcuni problemi. La disoccupazione restava elevata e l’agricoltura era in difficoltà per un forte calo delle esportazioni verso l’Europa. I paesi europei, che si stavano riprendendo dalla guerra, riuscivano a produrre generi alimentari in quantità sufficienti, senza dovere ricorrere all’importazione dagli Stati Uniti. Alla diminuzione delle esportazioni seguì la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli. Gli agricoltori guadagnarono meno e ridussero a loro volta gli acquisti di prodotti industriali (trattori, attrezzi di lavoro, auto).

La crisi del 1929

Nel sistema capitalistico, cicli di sviluppo si alternano a momenti di depressione. Negli Stati Uniti la crisi si manifestò nel 1929 e fu così estesa, profonda e di lunga durata da cambiare la vita di milioni di americani. Negli anni Venti, durante il periodo di crescita economica, moltissimi risparmiatori avevano investito il loro denaro in azioni (cioè in titoli che davano diritto a partecipare ai guadagni delle imprese). Erano sicuri che avrebbero guadagnato molto denaro e in fretta, e poi avrebbero potuto rivendere in Borsa le azioni a un prezzo più alto di quello che avevano pagato. Ma, quando l’economia statunitense cominciò a dare segni di difficoltà, le aziende diminuirono le vendite, guadagnarono meno e il valore delle loro azioni iniziò a calare. Allora tutti si precipitarono a vendere le azioni, facendo diminuire ancora di più il loro valore. La crisi incominciò verso la fine di ottobre del 1929, quando la Borsa di New York fece registrare un crollo del valore delle azioni. Era il segno che la sfiducia si stava diffondendo tra i risparmiatori. Essi scelsero di vendere le loro azioni, perché avevano bisogno di denaro in contanti. Così sottrassero di colpo grandi quantità di soldi a banche, assicurazioni, industrie. Migliaia di aziende fallirono; molte banche chiusero i loro sportelli; la disoccupazione toccò livelli alti. Il punto massimo della crisi fu raggiunto nel 1934, quando era disoccupato un americano su quattro tra i cittadini in età da lavoro (circa 13 milioni).

La presidenza Roosevelt

Alla crisi del 1929 seguì un grande cambiamento politico. Nelle elezioni del 1932 vennero sconfitti i repubblicani, al potere dal 1920, e fu eletto presidente il rappresentante del Partito democratico, Franklin Delano Roosevelt. Egli ottenne i voti dei ceti medi, dei contadini, degli operai, dei disoccupati, ossia di quei settori della società che più soffrivano per le conseguenze della crisi economica. Roosevelt diede voce alle speranze di rinascita dell’economia americana e seppe trasmettere ottimismo alla nazione. Gli americani avvertirono la forza morale del presidente, che risaltava al confronto con la sua fragilità fisica (Roosevelt era paralizzato alle gambe a causa di un attacco di poliomielite).

Un patto per uscire dalla crisi

New Deal («Nuovo patto») fu lo slogan inventato da Roosevelt per definire la politica con cui adottò misure radicali e innovative. Appena eletto stupì gli uomini d’affari americani, abituati ad agire per conto proprio, senza l’intervento statale. Approvò un piano di lavori pubblici che prevedeva la costruzione di strade, ferrovie, ponti, dighe e case: grazie a questi interventi, otto milioni di americani trovarono lavoro. Poco importava che lo stato accumulasse un forte debito per pagare queste opere: ciò che contava era sostenere il lavoro anche con denaro pubblico. Inoltre il governo fissò un orario di lavoro che tutte le imprese dovevano rispettare. I disoccupati ricevettero un assegno che consentiva loro di vivere. Fu vietato far lavorare i minorenni. I lavoratori ottennero la pensione e l’assistenza sanitaria.

CULTURA & stili di vita

I ruggenti anni Venti

La guerra è finita: divertiamoci!
Da poco uscita dalle sofferenze della Grande guerra, negli anni Venti la gente ha una gran voglia di rituffarsi nella vita e dimenticare gli orrori del conflitto. Negli Stati Uniti, inoltre, il grande sviluppo economico diffonde un’atmosfera di spensieratezza e di ottimismo: il benessere sembra dover crescere all’infinito, il futuro si presenta roseo. E allora la gente vuole divertirsi, ballare, sentire musica e andare al cinema.

Una gran voglia di ballare
Il ballo di moda negli anni Venti è il charleston. Il nome deriva da quello della città americana in cui fu inventato e da cui poi si diffuse in tutti gli Stati Uniti. La musica è allegra e vivace, un irresistibile invito a danzare in gruppo, in coppia o anche da soli. Gli anni ruggenti sono anche l’età del jazz. Il jazz è un’evoluzione del blues, la musica che in origine era suonata e cantata dagli schiavi neri delle piantagioni di cotone. Radio e cinema contribuiscono a diffondere le musiche e i balli di moda. Nasce l’industria discografica, con l’incisione di dischi da suonare nei fonografi (gli antenati dei giradischi e dei nostri MP3).

Il proibizionismo
Nel clima euforico di quegli anni, nei locali si bevono volentieri dei liquori. Ciò allarma una parte dell’opinione pubblica americana, la quale ritiene che l’ubriachezza provochi la rovina di molte famiglie e sia la principale causa della criminalità. Così, il 16 gennaio 1920, negli USA entra in vigore il cosiddetto proibizionismo, cioè la legge che rende illegali la produzione e la vendita di alcolici. Il senatore Andrew Volstead è convinto che - grazie alla nuova legge - la criminalità sarà sconfitta per sempre. Ecco le sue parole: «I quartieri umili presto apparterranno al passato. Le prigioni e i riformatori resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne sorrideranno e tutti i bambini rideranno. Le porte dell’inferno si sono chiuse per sempre».

Che affare per i gangsters!
La previsione di Volstead, però, è tutt’altro che azzeccata. Per effetto della legge sul proibizionismo i bar chiudono, ma in compenso aprono numerosi speakeasy, locali che servono illegalmente bevande alcoliche. Questi locali sono riforniti di alcol dalla malavita organizzata, che ha fiutato l’affare: produrre e vendere illegalmente bevande alcoliche diventa infatti la principale attività delle bande di gangster. Inoltre molti americani distillano alcol nelle proprie case.

Il re di Chicago
A Chicago opera il gangster più spietato di tutti: Al Capone, noto anche come Scarface («Lo sfregiato») perché ha una cicatrice sulla guancia, causata da una coltellata. I suoi uomini gestiscono le attività di distillazione e commercio di alcolici, agevolati dalla protezione di poliziotti e uomini politici corrotti. Al Capone elimina tutte le gang rivali e diventa il vero padrone della città. Finirà però in galera nel 1930, accusato di evasione fiscale.

Un esperimento fallito
Il proibizionismo viene abolito nel 1933. La legge non ha raggiunto i suoi scopi: i ricchi hanno continuato a bere come e più di prima, frequentando i locali gestiti dalla malavita; molti altri si sono messi a distillare alcol in casa. La criminalità, invece di diminuire, è aumentata: nei 14 anni in cui la legge è in vigore, le principali città americane sono insanguinate dalla «guerra dell’alcol» tra bande di gangster che si disputano a suon di mitra il controllo del commercio illegale di alcolici.

GLI SCRITTORI DEGLI ANNI RUGGENTI

«Età del jazz» è una definizione dello scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald, uno dei maggiori del suo tempo. L’America degli anni ruggenti è ben descritta nei suoi romanzi Il grande Gatsby e Tenera è la notte. Scrisse anche un libro di racconti intitolato appunto Racconti dell’età del jazz. I decenni successivi alla Grande guerra furono un periodo d’oro per la letteratura americana. Oltre a Fitzgerald, ricordiamo:

• John Steinbeck, autore di romanzi come Furore, Uomini e topi e Pian della Tortilla, ambientati all’epoca della grande crisi del 1929-1934;

• Erskine Caldwell, autore di romanzi ambientati nel Sud degli USA, dove i pregiudizi razziali contro i neri erano ancora molto radicati;

• Ernest Hemingway, giornalista e scrittore, volontario nella Prima guerra mondiale. L’esperienza della guerra gli ispirò il famoso romanzo Addio alle armi.

Il fascismo vietò la pubblicazione in Italia di questo libro, perché in esso si racconta la disfatta italiana a Caporetto.

Una fortezza della democrazia

Fortemente ostacolato dagli avversari politici del partito repubblicano, che giunsero ad accusarlo di portare il paese verso il socialismo, ma sostenuto dal consenso popolare, Roosevelt fu rieletto trionfalmente nel 1936. Gli americani mostrarono così di apprezzare il presidente e la sua politica, che difendeva la democrazia e si batteva contro le diseguaglianze, proprio in un periodo in cui la crisi in Europa favoriva la salita al potere dei partiti di estrema Destra. Le misure da lui prese ebbero un importante effetto di contenimento della crisi scoppiata nel 1929, ma non riuscirono a superarla del tutto.

La crisi arriva in Europa

La crisi economica, scoppiata negli Stati Uniti, inevitabilmente si diffuse anche in Europa, poiché i paesi europei avevano stretti rapporti di affari con gli USA. Molte banche statunitensi, che avevano concesso prestiti in Europa, chiesero improvvisamente la restituzione del denaro, mettendo in difficoltà i debitori. Gli investimenti statunitensi nelle aziende europee cessarono. Di conseguenza le fabbriche dovettero diminuire la produzione e licenziare molti lavoratori. I disoccupati e le loro famiglie, non guadagnando più denaro, ridussero drasticamente i consumi. Ciò fece calare la richiesta di prodotti, rendendo ancora più grave la crisi delle aziende. I paesi europei più colpiti furono quelli, come la Germania, che dopo la guerra avevano basato la loro ricostruzione e il loro rilancio economico proprio sui prestiti degli Stati Uniti.

UN PRESIDENTE MOLTO AMATO

La politica di Roosevelt realizzò gli obiettivi del cosiddetto «stato sociale» (welfare state, in inglese). Questi obiettivi sono: assicurare un livello di vita dignitoso a tutti i cittadini; fornire protezione nei periodi di difficoltà economica; garantire a tutti i cittadini i servizi fondamentali (per esempio l’istruzione e la sanità). Roosevelt cambiò anche la politica estera. Avviò il passaggio all’indipendenza delle Filippine e tolse il protettorato americano su Cuba. Il presidente si rivolgeva direttamente al pubblico americano attraverso la radio, con una trasmissione settimanale che chiamò le «chiacchierate attorno al caminetto» (fireside chats). Questa trasmissione gli diede la possibilità di presentare i suoi programmi a un vasto pubblico di cittadini e contribuì ad affermare la sua popolarità. Roosevelt fu il primo presidente americano a inserire una donna nel governo: Francis Perkins, alla carica di ministro del Lavoro.


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