Hitler e Stalin

La forza e la propaganda

Nel 1936 erano tre le principali dittature in Europa: il nazismo in Germania, il fascismo in Italia, il comunismo in Unione Sovietica. Per quanto diverse tra loro, erano simili nell’impegno di trasformare i cittadini in un insieme compatto di uomini e di donne fedeli ai loro capi. Hitler, Mussolini e Stalin cercarono il consenso della nazione, ma anziché costruirlo con la persuasione (come fanno i governi democratici) lo imposero con la forza e con la propaganda. Abbiamo già visto che cosa significò l’uso della forza, ossia dei metodi del terrore per stroncare gli oppositori con le torture, il carcere, il confino, i campi di concentramento e la morte.

La fabbrica del consenso

Per ottenere l’approvazione dei cittadini, insieme con i sistemi repressivi, le dittature usarono mezzi non violenti. «Fabbrica del consenso» è un modo di dire che indica l’insieme dei meccanismi organizzati per raggiungere un duplice scopo:
1. impressionare il popolo, attraverso false informazioni diffuse con tutti i mezzi di comunicazione allora disponibili (discorsi in piazza, giornali, radio, cinema);
2. inquadrare il popolo come se fosse un unico e compatto corpo militare.

«Un popolo, un impero, un capo»

Al potere in Germania dal 1933, Hitler riteneva di dover realizzare una perfetta unione tra il popolo tedesco e il regime nazista, secondo lo slogan: «Un popolo, un impero, un capo». Per raggiungere questo risultato, si servì di molte tecniche. Organizzò raduni di migliaia di persone, che si trasformavano in grandiose manifestazioni, sul modello delle parate militari. Le più coinvolgenti si svolgevano di notte. I partecipanti portavano torce accese e si disponevano in modo da formare una grande croce uncinata (svastica), simbolo del nazismo. Tutti insieme intonavano inni nazisti, che si concludevano con l’acclamazione Heil Hitler! («Salute, Hitler!»), gridata a piena voce alzando il braccio destro con la mano aperta. I raduni terminavano spesso con un discorso di Hitler, che con voce tonante scandiva frasi a effetto, adatte a suscitare forti emozioni. I luoghi delle manifestazioni potevano essere gli stadi o le piazze. Erano addobbati con bandiere della Germania e del nazismo. Tutto il cerimoniale era studiato per dare una sensazione di potenza, di ordine e di disciplina militare.


La svastica (o croce uncinata), simbolo del nazismo.
Manifestazione nazista nello stadio di Norimberga (1936).

Le Olimpiadi di Berlino

Il ministro tedesco della propaganda, Joseph Goebbels, convinse Hitler a presentare la candidatura di Berlino per le Olimpiadi del 1936. I Giochi olimpici potevano essere l’occasione per mostrare al mondo la potenza tedesca e la superiorità degli atleti di razza ariana. In un tripudio di svastiche, il 1° agosto 1936 i Giochi olimpici di Berlino furono inaugurati. Il protagonista fu però un atleta di colore, l’americano Jesse Owens, che vinse le corse dei cento e dei duecento metri, e il salto in lungo, con grande disappunto di Hitler. Piuttosto che premiare quell’atleta di colore, Hitler preferì abbandonare lo stadio. Non sopportava l’idea che un atleta nero si fosse fatto beffa delle tesi razziste sulla superiorità della razza ariana.

L’ARCHITETTO DI HITLER

La regia delle manifestazioni naziste fu affidata a uomini di spettacolo e a famosi architetti, come Albert Speer, collaboratore del nazismo, che progettò molti edifici pubblici costruiti in quegli anni. Hitler affidò a Speer l’incarico di disegnare una nuova Berlino. L’architetto disegnò un enorme edificio con una cupola che richiamava quella di San Pietro a Roma, ma con un diametro sei volte maggiore. Sulla sommità della costruzione avrebbe campeggiato un’aquila dorata, che stringeva fra gli artigli la croce uncinata. Al fondo di un lungo viale, Speer immaginò un arco simile all’Arco di Trionfo di Parigi, ma anche in questo caso molto più grande. Sulla superficie dell’arco dovevano essere incisi i nomi di tutti i caduti tedeschi nella Prima guerra mondiale. Quasi nessuno degli edifici progettati fu però realizzato, a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale nel 1939.

Il culto di Stalin

Anche Stalin, capo supremo dell’Unione Sovietica, dove operava un regime comunista, celebrò il suo potere in ogni modo. Creò un vero culto della sua persona: ogni cittadino sovietico doveva essere convinto che Stalin era la guida sicura e giusta, un buon padre che aveva a cuore il suo popolo. Anch’egli mise al suo servizio gli artisti perché lo rappresentassero come il capo onnipotente e onnipresente, al quale tutti dovevano obbedienza. Pittori e fotografi ritrassero Stalin nelle fabbriche, in mezzo agli operai, o nei campi, in mezzo ai contadini, circondato dallo sventolìo delle bandiere rosse.

Il gigantismo

Come Hitler, anche Stalin utilizzò l’architettura come strumento per esprimere le ambizioni di grandezza. Fece costruire giganteschi palazzi ed edifici imponenti. Nell’Esposizione di Parigi del 1937, di fronte al padiglione tedesco sorgeva quello sovietico, sovrastato da una torre ancora più alta di quella costruita da Speer. Sulla sommità fu posta una scultura in cui due giovani innalzavano la falce e il martello, simboli del comunismo che si realizzava con l’unione di contadini (la falce) e operai (il martello). A Mosca fece costruire i palazzi conosciuti come le «sette sorelle», un gruppo di grattacieli non diversi da quelli edificati a New York, negli Stati Uniti. 

LEGGERE le IMMAGINI

Il dittatore e il suo popolo
Questa è una delle tipiche immagini propagandistiche che venivano fatte circolare in URSS.
Stalin è fotografato in mezzo alla gente comune (in questo caso due contadine). Il dittatore non deve dare di sé l’immagine di un uomo chiuso nei palazzi del potere, distante dal popolo.

1 Gli atteggiamenti sono cordiali, quasi come se Stalin fosse uno di famiglia. Una contadina gli cinge addirittura le spalle con un braccio.

2 La gente che gli sta intorno deve apparire sorridente, felice, fiduciosa che il capo saprà risolvere tutti i problemi.

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