Lo avrai, camerata Kesselring…
Kesselring fu il comandante delle truppe tedesche inviate in Italia. Come tale, fu il principale responsabile delle atrocità commesse dai suoi soldati ai danni della popolazione civile italiana. Processato nel 1947 per crimini di guerra, Kesselring fu condannato a morte, ma poi la condanna fu trasformata in carcere a vita. Nel 1952, in considerazione delle sue condizioni di salute, fu messo in libertà. Tornato in Germania, Kesselring osò dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che anzi gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli un monumento. A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, uno dei capi della Resistenza italiana, con una famosa iscrizione, collocata nell’atrio del Palazzo comunale di Cuneo.
Lo avrai,
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Resistenza.
«Camerata» è l’appellativo con cui si chiamano i fascisti tra loro.
Le rovine dei villaggi distrutti, la cui popolazione fu sterminata.
I giovani partigiani morti in combattimento o giustiziati dai tedeschi dopo essere stati catturati.
Gli inverni del 1943-’44 e 1944-’45, quando i partigiani (che si rifugiavano in montagna) tennero testa all’esercito di Kesselring.
La primavera del 1945, quando i tedeschi furono costretti a ritirarsi definitivamente e l’Italia settentrionale fu liberata.
I partigiani catturati e torturati perché facessero il nome dei loro compagni e rivelassero i loro nascondigli.
Il testo sottolinea la differenza insormontabile tra chi combatté per amore della libertà («per dignità») e chi combatté dalla parte della dittatura e dell’oppressione («per odio»).
Se di nuovo la libertà fosse messa in pericolo.
Il messaggio finale è rivolto al futuro ed esprime la certezza che la Resistenza non verrà dimenticata. L’esempio di chi combatté e morì per la libertà sarà sempre seguito.