Gli ultimi mesi di guerra

La Germania invasa

Nella primavera del 1945 quel che restava dell’esercito tedesco fu sopraffatto su tutti i fronti. La Germania fu invasa: da ovest avanzavano gli anglo-americani e da est sopraggiungevano i sovietici. Ci fu tra gli alleati una corsa a chi sarebbe arrivato per primo nella capitale tedesca. I sovietici ebbero la meglio. Il comandante delle forze americane e inglesi, il generale americano Eisenhower, lasciò la precedenza ai sovietici sia per risparmiare uomini sia per non irritare Stalin. La battaglia per Berlino iniziò il 16 aprile. Hitler, chiuso in un bunker, nella notte del 30 aprile si suicidò, insieme con Eva Braun, la compagna che aveva appena sposato. Come ultimo atto nominò suo successore l’ammiraglio Karl Dönitz, che chiese la resa.

La Liberazione dell’Italia

Intanto in Italia gli Alleati avanzavano verso nord. Qui, tra il 25 e il 26 aprile del 1945, l’insurrezione partigiana contribuì a mettere in fuga i tedeschi. Mussolini fu catturato dai partigiani mentre tentava di rifugiarsi in Svizzera, travestito da soldato tedesco, e venne fucilato. Il 25 aprile è ricordato come data della Liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo. Questa data è festa nazionale. L’8 maggio 1945 in tutta l’Europa fu ordinato il cessate il fuoco, cioè la fine dei combattimenti.

La bomba atomica

La guerra continuò invece nell’oceano Pacifico e nell’Estremo Oriente, dove il Giappone opponeva un’accanita resistenza. La città di Hiroshima fu scelta come bersaglio. Il 6 agosto 1945 un bombardiere americano B-29 sganciò una bomba atomica, che da sola polverizzò l’intera città. Tre giorni dopo una seconda bomba distrusse la città di Nagasaki. La bomba su Hiroshima provocò oltre 200 000 morti; quella su Nagasaki 80 000. Moltissimi abitanti delle due città morirono in un attimo. Di loro non rimase neppure una traccia, se non il pallido profilo dei corpi fissato sul muro di una casa o sulla pietra di una strada. Migliaia di sopravvissuti morirono negli anni successivi per le conseguenze dell’esposizione a radiazioni nucleari. Dopo il bombardamento atomico, il Giappone si arrese. Il 2 settembre 1945, a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokyo, i rappresentanti del governo nipponico firmarono la resa. La Seconda guerra mondiale era finita.

Perché l’atomica?

Il presidente americano Truman, quando decise di utilizzarla contro il Giappone, si giustificò dicendo che si trattava di una dolorosa necessità imposta dalla guerra: la bomba atomica avrebbe risparmiato altre centinaia di migliaia di vittime, che sicuramente si sarebbero avute con la prosecuzione del conflitto. Fu rimproverato a Truman di aver agito senza valutare le catastrofiche conseguenze delle due bombe cadute su Hiroshima e Nagasaki. Altri hanno sostenuto che a Truman stava a cuore anche impedire all’Unione Sovietica un intervento in Giappone, che avrebbe portato al controllo sovietico su quel paese.

Un bilancio catastrofico

La Seconda guerra mondiale fu la guerra più devastante della storia per perdite umane e distruzioni materiali. Il conflitto aveva coinvolto 61 nazioni e provocato la morte di circa 55 milioni di persone, tra militari e civili. A pagare il prezzo più alto furono l’Unione Sovietica (20 milioni di morti), la Cina (13,5 milioni), la Germania (7,3 milioni), la Polonia (5,5 milioni), il Giappone (2 milioni). Al confronto furono relativamente poche le vittime degli Stati Uniti (400 000), che pure era il paese che aveva maggiormente sostenuto la guerra contro la Germania e il Giappone. Inoltre le città americane erano uscite intatte dalla guerra, per la semplice ragione che nessun attacco aereo o navale nemico aveva colpito il suolo americano. Per la prima volta nella storia europea, i morti civili a causa della guerra superarono quelli militari. Fu una conseguenza dei bombardamenti, della fame, delle deportazioni nei campi di concentramento.

Senza più casa né cibo

In Europa le distruzioni operate dalla guerra apparivano in tutta la loro dimensione. La parte orientale e l’area dei Balcani, dove i tedeschi avevano agito con crudeltà, erano devastate. In tutti i paesi le industrie, le ferrovie, i ponti e le strade presentavano danni incalcolabili. Le distruzioni erano più accentuate nelle grandi città e nei porti, sui quali si erano concentrati i bombardamenti aerei. Finiti i combattimenti, in Germania e nell’Europa orientale ci furono tremende carestie, con milioni di persone ridotte alla fame.

Donne e uomini allo sbando

Milioni di donne e di uomini si trovavano allo sbando, senza casa, lontani dal loro paese. Erano militari liberati dalla prigionia, ebrei fuggiti o liberati dai campi di sterminio, nazisti in fuga nel timore delle vendette dei vincitori. In più, un numero altissimo di profughi scappava dai paesi occupati dall’Armata Rossa. Era il caso di migliaia di tedeschi che dal 1939 si erano trasferiti a est sulla scia dell’espansione della Germania e che ora cercavano di rientrare nelle regioni occidentali per sfuggire ai sovietici.

STORIA & memoria

Vivere in tempo di guerra. Le parole della vita quotidiana

«Vinceremo!». Ma non andò proprio così...
10 giugno 1940: Mussolini annuncia l’entrata in guerra in un discorso accolto con entusiasmo da milioni di italiani. Promette una guerra breve e assicura: «Vinceremo! ». Cominciano invece cinque anni di privazioni e di sofferenze sempre maggiori. Cerchiamo di capire che cosa significò vivere in tempo di guerra attraverso la spiegazione di alcune parole che, purtroppo, diventarono molto familiari agli italiani durante il periodo 1940-1945.

Tessera annonaria
Durante la guerra la produzione agricola diminuì, gli scambi commerciali con altri paesi cessarono e la maggior parte del cibo disponibile fu destinato ai soldati. Perciò fu introdotto il razionamento: ciò significa che a ogni cittadino spettava una determinata razione giornaliera o mensile di ciascun prodotto. La razione era stabilita dallo stato. A ogni famiglia fu assegnata una tessera annonaria. Era un cartoncino grigio, composto da tanti tagliandini: ogni tagliandino corrispondeva a una certa quantità di pasta, riso, olio, zucchero, ecc. Ogni volta che si faceva la spesa, il negoziante ritirava i tagliandini corrispondenti alle merci acquistate. Nel 1941 la razione di pane era di 150 grammi il giorno; quella di zucchero di 500 g il mese. I prezzi dei generi alimentari erano fissati per legge.

Mercato nero
Era il mercato illegale e clandestino di beni sottoposti a razionamento, chiamato anche «Borsa nera». Nei negozi i prodotti scarseggiavano sempre di più. Però quegli stessi prodotti si trovavano al mercato nero a prezzi molto superiori a quelli imposti dallo stato. In certi casi erano gli stessi negozianti a vendere pane e generi alimentari al di fuori di quelli acquistabili con la tessera e a prezzi più alti. Talvolta i contadini venivano in città a vendere al mercato nero i prodotti del loro orto e del loro pollaio. Il mercato nero si diffuse, nonostante le autorità stabilissero punizioni esemplari, compresa la pena di morte. Chi non poteva permettersi di comperare i prodotti al mercato nero cercava di arrangiarsi con i surrogati. Per esempio, al posto del caffè, si bevevano le «ciofeche », derivate dalla cicoria, dall’orzo o da chicchi di cereali tostati.

Oscuramento
Consisteva nell’eliminare o ridurre nelle ore serali e notturne le sorgenti luminose nelle case e nelle strade, per proteggere le città dagli attacchi aerei nemici. Le città dovevano apparire dall’alto come macchie nere. Le finestre erano schermate con carta e coperture che non lasciavano filtrare la poca luce dell’interno.

Coprifuoco
Era il divieto di circolare nelle ore serali e notturne. Fu adottato per lo stesso motivo dell’oscuramento, cioè per non esporre la popolazione a rischi e per evitare che le luci guidassero gli aerei nemici. Durante la guerra, in tutte le città fu imposto un orario di chiusura anticipata ai locali pubblici e di divertimento, come caffè, sale da ballo, cinema e teatri.

Rifugio
Era un locale dove i cittadini trovavano riparo durante i bombardamenti. I rifugi potevano essere trincee in luoghi aperti (come le piazze) protette da sacchi di sabbia. Oppure gallerie sotterranee, il cui ingresso era protetto da torrette in cemento armato. L’avviso di un imminente bombardamento veniva dato da una sirena d’allarme collocata su edifici pubblici. Restare in casa era pericoloso, perché si rischiava di essere sepolti dalle macerie. Ma spesso nemmeno i rifugi offrivano una protezione adeguata. Inoltre anziani, malati e disabili avevano difficoltà a lasciare all’improvviso i propri appartamenti.

Sfollati
Molti abitanti delle città, soprattutto quelli più benestanti, si trasferirono in campagna o in luoghi meno soggetti a bombardamenti, perché lontani dalle fabbriche, dalle ferrovie, dai centri abitati, principali bersagli degli attacchi aerei. Nelle campagne inoltre era più facile trovare cibo, poiché le famiglie contadine disponevano di ortaggi, uova e animali da cortile. Si chiamavano sfollati anche coloro che avevano perso la casa, crollata a causa di un bombardamento. Si rifugiavano in cantine, garages, edifici pubblici, botteghe abbandonate.

StoriaFacile 3
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