L’Italia diventa una democrazia

L’Italia nel dopoguerra

Al termine della guerra, nel 1945, erano molte le situazioni di sofferenza in cui viveva il popolo italiano. Le bombe sganciate sulle città avevano distrutto interi quartieri. Le famiglie piangevano i loro congiunti morti al fronte in Africa, in Grecia o nel gelo della Russia, durante la ritirata dell’inverno 1942-1943. Rancore e desiderio di vendetta si erano radicati nell’animo di quegli italiani che avevano vissuto lo scontro tra fascisti e antifascisti.

Morire nelle foibe

Nelle zone vicine al confine nord-est del nostro paese, altre sofferenze si aggiunsero a guerra conclusa. I partigiani jugoslavi e comunisti di Tito commisero atroci delitti ai danni della popolazione italiana, slovena e croata. Fecero migliaia di vittime, buttate a morire nelle foibe, caverne verticali simili a grandi pozzi, presenti nella Venezia Giulia. L’obiettivo era di eliminare tutti coloro che si opponevano all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Iniziò allora un esodo della popolazione italiana dai territori passati sotto il governo della Jugoslavia (Istria e Dalmazia). I profughi si trasferirono in diverse regioni italiane.

I confini difficili

Tutta l’area di confine tra Italia e Jugoslavia fu in discussione, finché nel 1946 le potenze vincitrici della guerra concordarono una sistemazione. Fu proclamato il territorio libero di Trieste, diviso in due zone: la zona A, sotto l’influenza degli anglo-americani; la zona B, sotto la sovranità della Jugoslavia. Immediata conseguenza di ciò fu l’esodo di circa 270 000 profughi istriani di lingua italiana, che si rifugiarono nel nostro paese per sfuggire alle rappresaglie degli jugoslavi. Costituirono un grave problema umano e politico, che si risolse solo nel 1954, quando la zona A, con Trieste e cinque villaggi, fu unita definitivamente all’Italia. La stessa situazione fu vissuta da Gorizia, divisa in due dal confine italo-jugoslavo che attraversava alcuni quartieri della città.

Il ritorno della democrazia

La caduta del fascismo consentì il ritorno della democrazia in Italia. Si ricostituirono i partiti che Mussolini aveva sciolto e altri se ne formarono. Nel 1946 fu indetto un referendum per far decidere agli italiani quale forma dare al loro stato: monarchia o repubblica? Si votò anche per la nomina dei rappresentanti del popolo all’Assemblea Costituente, incaricata di scrivere la nuova Costituzione. Per la prima volta parteciparono al voto anche le donne. Le votazioni, tenutesi il 2 giugno 1946 (2 giugno è da allora la data della Festa della repubblica), diedero la vittoria alla repubblica con il 54% dei voti. La maggioranza degli italiani bocciò la monarchia perché giudicata corresponsabile del fascismo e dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco di Hitler. Nelle elezioni per l’Assemblea Costituente si affermarono tre partiti:
• la Democrazia cristiana (DC), partito cattolico capeggiato da Alcide De Gasperi;
• il Partito socialista italiano (PSI), guidato da Pietro Nenni;
• il Partito comunista italiano (PCI), guidato da Palmiro Togliatti.

La Costituzione repubblicana

I partiti antifascisti collaborarono tra loro a scrivere la Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. In base alla Costituzione, che è in vigore anche oggi, l’Italia è una repubblica democratica e parlamentare. Ciò significa che la Costituzione mette al centro il Parlamento, eletto a suffragio universale, cioè da tutti i cittadini maggiorenni.

LEGGERE le FONTI

Dove nacque la Costituzione
Piero Calamandrei, deputato all’Assemblea Costituente eletto nelle liste del Partito d’Azione, nel 1955 tenne una serie di lezioni per spiegare ai giovani la nostra Costituzione. Riportiamo un brano tratto da una di queste lezioni.

"Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano o di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Questa Costituzione è un testamento, il testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle nostre montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione."
(da P. Calamandrei, Discorso sulla Costituzione)

La vita ricomincia tra le macerie

All’indomani della guerra, l’Italia era un paese con gravissimi problemi economici. Rispetto al 1938, la produzione agricola era diminuita del 60%: ciò comportava problemi di rifornimenti alimentari, tanto che continuava a prosperare la Borsa nera. Circa il 20% delle fabbriche era stato distrutto dai bombardamenti. Tra quelle rimaste in funzione, molte erano state utilizzate per la produzione di materiali di guerra, perciò dovevano essere riconvertite a una produzione adatta al tempo di pace. I bombardamenti aerei avevano distrutto o lesionato anche molte case. Di conseguenza, moltissime persone erano rimaste senza alloggio: avevano dovuto stabilirsi presso parenti o trasferirsi in edifici pubblici provvisoriamente adibiti a ospitare i senza tetto. Da questa situazione, il paese cominciò lentamente a riprendersi anche grazie agli aiuti americani del piano Marshall. Gli aiuti americani, come abbiamo visto, avevano anche un significato politico. Erano lo strumento per convincere gli italiani che il sistema americano era superiore al comunismo, perché portava benessere e libertà.

Un paese con forti squilibri

Nonostante la lenta ripresa del dopoguerra, l’Italia rimase un paese di forti squilibri. Secondo la Commissione parlamentare incaricata di un’inchiesta sulla miseria, il reddito medio per abitante era di 349 000 lire a Milano e di 66 563 ad Agrigento. Nel 1953 gli italiani avevano un reddito che era meno della metà di quello dei francesi e poco più di un terzo di quello dei belgi. Altro grave problema era la disoccupazione: nel 1954 il paese contava oltre due milioni e duecentomila persone senza lavoro, con un aumento di ben 300 000 disoccupati rispetto al 1950.

La rinascita della cultura

Alla fine della Seconda guerra mondiale, la ripresa economica si accompagnò alla ripresa culturale dell’Italia. Caduto il fascismo, gli artisti furono finalmente liberi di esprimersi. Il dramma della guerra appena conclusa e la lotta partigiana contribuirono alla nascita di una corrente artistica e letteraria chiamata «neorealismo». In letteratura, il neorealismo fu rappresentato da autori e opere che si proponevano di descrivere la realtà del nostro paese, in particolare quella dei ceti più poveri. La materia di queste opere era spesso tratta dalla storia recente o dall’attualità: la guerra, la Resistenza, la difficile situazione dell’Italia negli anni dell’immediato dopoguerra. Gli scrittori neorealisti adottarono un linguaggio non letterario, che spesso usa termini dialettali o gergali. Tra i maggiori scrittori neorealisti ricordiamo Beppe Fenoglio, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino. Un altro campo in cui il neorealismo realizzò autentici capolavori è il cinema. Alcuni film neorealisti descrivono in modo veritiero le sofferenze subite dal popolo italiano durante la guerra e l’occupazione tedesca. Altri si concentrano sulla realtà italiana del dopoguerra, di cui rappresentano tutte le difficoltà: la povertà, la mancanza di lavoro, l’arretratezza del Sud.

StoriaFacile 3
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