Trent’anni di sviluppo

La crescita economica

Nel dopoguerra, e per una trentina d’anni, il mondo conobbe una fase di crescita economica senza precedenti nella storia. In quel periodo la produzione agricola e industriale triplicò. Non per tutti gli stati del mondo lo sviluppo fu uguale. Esso riguardò le aree già industrializzate: Europa occidentale, Canada, Stati Uniti, Australia, Giappone, a cui si aggiunsero alcuni paesi dell’Asia. Ne restò esclusa l’Africa. Nei tre paesi usciti sconfitti dalla guerra (Germania, Giappone e Italia) la crescita fu superiore alla media, al punto che si è parlato di «miracolo economico » o di «boom economico».

Più popolazione e maggiori consumi

La forte crescita si può spiegare con molteplici motivi. Ci fu un costante aumento della popolazione dei paesi sviluppati, che passò dagli 830 milioni nel 1950 a oltre 1 miliardo nel 1970. L’organizzazione del lavoro industriale puntò a elevare la velocità della produzione e a diminuire i costi. Fabbriche organizzate con catene di montaggio, con turni di lavoro distribuiti per l’intera giornata e con operai qualificati riuscirono a produrre di più, più rapidamente e a costi minori. In questo modo misero sul mercato grandi quantità di beni di consumo: automobili, radio, elettrodomestici, orologi, dischi, libri e infiniti altri oggetti che potevano essere acquistati da molti cittadini, divenuti consumatori.

Produrre di più per consumare di più

La nuova fase dello sviluppo economico si basò sulla diffusione dei consumi. I consumi crescevano perché le possibilità economiche delle persone salivano, grazie agli aumenti di salari e stipendi. Si diffuse inoltre l’abitudine di acquistare a rate i prodotti più costosi, come automobili ed elettrodomestici. A tenere alto il livello dei consumi concorreva la pubblicità, che in modo costante invitava la gente a comprare e consumare di più. Una nuova prosperità si diffuse rapidamente. Le case divennero più confortevoli. Aumentarono le spese per la salute e per l’istruzione. Con la diminuzione dell’orario di lavoro, le persone ebbero più tempo libero da dedicare ai divertimenti, al riposo e ai viaggi. Nei paesi sviluppati, la forte crescita economica portò a rilevanti trasformazioni sociali. Diminuì il numero dei contadini, grazie alla meccanizzazione dell’agricoltura e all’introduzione dei fertilizzanti chimici. Il numero degli operai continuò a crescere, almeno fino agli anni Settanta. Nel settore dei servizi (scuola, sanità, trasporti, uffici pubblici, commercio) tutti gli stati assunsero milioni di dipendenti. Questo fenomeno favorì l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. 

Cambiamenti culturali

Il successo dei mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, televisione, cinema) trasformò la vita culturale, perché consentì a milioni di persone di avere informazioni e conoscenze prima riservate a pochi. La contemporanea diffusione dell’istruzione scolastica aprì nuove possibilità. La televisione, che cominciò a trasmettere regolarmente i programmi negli anni Cinquanta, rivoluzionò le comunicazioni. Essa permise di trasmettere le notizie in modo istantaneo, ossia nel momento in cui il fatto si svolgeva. Quando furono introdotti i satelliti per le comunicazioni (il primo, di nome Telstar, fu messo in orbita nel 1962), le immagini potevano correre da un punto all’altro della Terra con la stessa velocità di una conversazione tra vicini di casa.

Il caro-benzina

Questo ciclo di sviluppo era basato sul basso costo delle materie prime, in particolare del petrolio, da cui si ricava l’energia necessaria a muovere le auto, illuminare le città e far funzionare le fabbriche. Molti paesi, come quelli dell’Europa, non erano produttori di petrolio ma lo acquistavano all’estero, dai paesi arabi principalmente. Nel 1973 il mondo industrializzato fu messo in allarme da una grave crisi energetica. Gli stati produttori di petrolio ridussero le quantità di greggio estratto e alzarono notevolmente i prezzi. I paesi come l’Italia, che erano grandi importatori di petrolio, dovettero affrontare una situazione di emergenza. Corsero al riparo riducendo i consumi e sviluppando altre fonti di energia, ma sembrava finita un’epoca: quella dell’energia a basso costo e dai quantitativi illimitati. D’ora in avanti bisognava pensare diversamente. Superata la crisi petrolifera, comunque, la crescita economica riprese e si allargò.

Il miracolo del Giappone

Il Giappone aveva perso la guerra, ma gli Stati Uniti si comportarono nei suoi confronti esattamente come fecero con la Germania dopo la caduta di Hitler. Stipularono immediatamente un trattato di pace per concedere aiuti economici all’ex nemico e trasformarlo in alleato. Il Giappone avviò una rapida ricostruzione di fabbriche, case e ferrovie distrutte dalla guerra. Fu l’inizio della più sensazionale crescita economica che ci sia stata tra il 1945 e il 2000. Nel 1980 il Giappone aveva raggiunto la posizione di seconda potenza industriale del mondo, dopo gli USA. Dalle industrie giapponesi uscivano ottimi prodotti a prezzi bassi. Alcuni settori, come l’industria automobilistica e l’elettronica, raggiunsero posizioni di vertice a livello mondiale. Trascinati dal Giappone, si affermarono nuovi paesi industriali dell’Asia: la Corea del Sud, l’Indonesia, la piccola Repubblica di Singapore e Taiwan.

CULTURA & stili di vita

La donna protagonista

Il femminismo
La parola «femminismo» ha due significati. Il primo riguarda il movimento che rivendica i diritti economici, civili e politici delle donne; il secondo, le teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e che studiano il suo ruolo nella storia. Le rivendicazioni femminili iniziarono alla fine del Settecento e si svilupparono nell’Ottocento. Le prime organizzazioni femministe furono fondate in Inghilterra verso la metà del secolo XIX; in seguito ne nacquero in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Le principali richieste delle femministe erano:
• il diritto delle donne a svolgere le stesse attività lavorative degli uomini con uguale retribuzione;
• la parità tra moglie e marito nell’ambito della famiglia;
• il diritto di voto e quello di candidarsi alle cariche pubbliche.
Le femministe diffondevano le loro idee con conferenze, volantini e soprattutto con giornali realizzati interamente da donne. Con l’innalzamento del livello di istruzione, infatti, il giornale divenne uno strumento di propaganda efficace. Inoltre i movimenti femministi inviavano richieste e proposte ai governi, organizzavano congressi sia nazionali sia internazionali, inscenavano manifestazioni di protesta.

La conquista del diritto di voto
Nel 1903 l’inglese Emmeline Pankhurst, insieme alla figlia Christabel, guidò le proteste delle donne che chiedevano la possibilità di votare. Erano perciò chiamate suffragette («suffragio» è sinonimo di «voto»). All’inizio del XX secolo le donne ottennero il diritto di voto negli Stati Uniti e in molti paesi europei, ma non in Francia e in Italia, dove fu concesso rispettivamente nel 1944 e nel 1946. Nel 1948 le donne ottennero finalmente un riconoscimento ufficiale della loro parità con l’uomo. Nella Dichiarazione universale dei diritti umani fu scritto che «tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali e hanno parità di diritti». Lo stesso documento stabilì la parità dei coniugi all’interno del matrimonio e l’uguaglianza delle retribuzioni a parità di mansioni assegnate e di lavoro svolto. Anche le nuove Costituzioni dei paesi europei inclusero l’uguaglianza dei diritti senza distinzione di sesso. Ad esempio, l’articolo 3 della Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, afferma che «tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso».

Le femministe di nuovo in lotta
L’acquisizione di diritti politici e civili non realizzò gli auspicati mutamenti della condizione femminile. Moltissime donne continuarono a essere discriminate (cioè trattate in modo differente) sia in famiglia sia sul lavoro. Negli anni tra 1950 e 1960 le femministe chiesero mutamenti sostanziali: pari dignità con l’uomo in casa e sul lavoro, nelle scuole e nell’università. Alla fine degli anni Sessanta le proteste delle donne si collegarono a quelle degli studenti, e più in generale dei giovani, che chiedevano maggiore libertà e la fine dell’autoritarismo in famiglia e a scuola. Grazie a queste lotte, e anche alla crescente presenza di donne nei Parlamenti europei, molti stati stabilirono una sempre maggiore parità tra i due sessi.

I progressi in Italia
In Italia il femminismo si concentrò su obiettivi specifici: la legge sul divorzio, ottenuta nel 1970, la riforma del diritto di famiglia (1975), il diritto all’aborto (1978). Nel 1975 entrò in vigore il nuovo diritto di famiglia, che attribuisce ai coniugi gli stessi diritti e doveri. Veniva così eliminata la vecchia figura del capofamiglia, al quale era attribuita la patria potestà, cioè il diritto esclusivo di decidere in merito all’educazione dei figli. Con quasi trent’anni di ritardo veniva attuato il principio stabilito dalla nostra Costituzione: «Il matrimonio è ordinato sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi».

Una storia che deve ancora cominciare
Oggi le battaglie per la difesa della donna coinvolgono soprattutto i paesi dove la donna è pesantemente discriminata e deve sottostare alla volontà dell’uomo. In Arabia Saudita le è persino proibito di prendere la patente per la guida. In altri paesi le donne sono condannate a morte in caso di relazione extraconiugale. In Afghanistan vengono per questo lapidate, cioè uccise a colpi di pietra. In India lo stupro e la violenza sessuale sulle donne sono tollerati da alcune tradizioni e non adeguatamente puniti dalle leggi.

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