La democrazia in pericolo

Gli anni di piombo: terrorismo nero…

Alla fine degli anni Sessanta, per contrapposizione alle proteste degli operai e degli studenti, aumentarono le associazioni della Destra estrema che si ispiravano alle idee fasciste.
Nel dicembre del 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, fu fatta esplodere una bomba che causò 17 morti. Seguirono altri attentati contro semplici cittadini:
• in piazza della Loggia a Brescia, nel maggio del 1974, durante una manifestazione sindacale (8 morti e molti feriti);
• alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, con 85 morti;
• sul rapido Roma-Milano, a San Benedetto Val di Sambro, nel dicembre del 1984, con 15 vittime.
Solo su quest’ultima strage la magistratura fece piena luce, scoprendo mandanti ed esecutori (mafia siciliana e ambienti neofascisti, con coperture di agenti dei servizi segreti).
Gli scopi di questi attentati neofascisti potevano essere molteplici: favorire un colpo di stato militare (che non ci fu); sostenere il progetto di una repubblica autoritaria; creare panico allo scopo di intralciare il percorso della democrazia e dello sviluppo civile del paese.

… e terrorismo rosso

Dalla metà degli anni ‘70, il terrorismo in Italia non fu più solo quello di Destra. Si formarono gruppi clandestini di terroristi di Sinistra, chiamati «Brigate rosse», «Prima linea», «Nuclei armati proletari». Inizialmente sequestrarono persone che ricoprivano cariche importanti. Poi passarono ad attentati con ferimenti e omicidi di magistrati, uomini politici, poliziotti, giornalisti, professori universitari e sindacalisti. Caddero per mano dei terroristi ben 160 persone. Il loro scopo era mettere in crisi lo stato e provocare una rivoluzione. Al terrorismo aderì un numero limitato di persone, mentre la grande maggioranza degli italiani si oppose. In quegli anni di tensione gli italiani poterono fare affidamento sulla opposizione al terrorismo da parte di tutti i partiti, i sindacati, le organizzazioni sociali, e sulla figura prestigiosa del presidente della Repubblica Sandro Pertini, eletto nel 1978. Gli anni dal 1969 al 1980 circa furono chiamati «anni di piombo», con riferimento all’uso delle armi con cui i gruppi terroristici cercarono di influenzare la storia del nostro paese.

Unità nazionale contro il terrorismo

Per fronteggiare il pericolo del terrorismo e per dare una risposta democratica, alcuni politici pensarono di chiamare al governo il principale partito di Sinistra, il Partito comunista. Questo partito si stava allontanando dal modello di comunismo dell’Unione Sovietica, per divenire un partito riformatore. Il leader democristiano Aldo Moro fu il principale sostenitore di questa svolta politica, chiamata «di unità nazionale ». Essa fu condivisa dal segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer.

L’assassinio di Moro

Nel 1978 le Brigate rosse organizzarono il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e degli agenti che gli facevano da scorta. Fu l’evento più drammatico nella storia di quegli anni e fu il segnale che i gruppi terroristici volevano bloccare la svolta dell’unità nazionale. Restano tuttavia molte domande senza risposta. Non è escluso che dietro ai terroristi vi fossero personaggi della politica, dei servizi segreti, della criminalità organizzata, che temevano il cambiamento voluto da Moro. Una più efficace azione repressiva da parte di polizia e carabinieri, e le confessioni di terroristi pentiti, riuscirono a smantellare l’organizzazione delle Brigate rosse e a portare in tribunale i responsabili di molti attentati.

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Una pistola puntata ad altezza d’uomo

Questa fotografia fu pubblicata da tutti i principali giornali e divenne il simbolo degli anni bui del terrorismo. La foto fu scattata in via De Amicis a Milano, il 14 maggio 1977. Quel giorno si tenne una manifestazione indetta da appartenenti a gruppi di estrema Sinistra. Un giovane, con il volto coperto, impugna una pistola ed è pronto a fare fuoco ad altezza d’uomo. Durante i disordini di quella giornata, l’agente di polizia Antonio Custra fu ucciso da uno dei numerosi proiettili sparati contro le forze di polizia.

L’irrisolta «questione meridionale»

Il miracolo economico italiano ebbe alcuni punti deboli, primo fra tutti il divario tra il Nord e il Sud del paese. Le fabbriche erano concentrate al Nord, tranne alcune eccezioni. Moltissimi lavoratori emigrarono dalle regioni dell’Italia meridionale per impiegarsi nelle fabbriche di Torino, di Milano e delle altre città industriali del Settentrione. Tra il 1951 e il 1961 due milioni di persone si trasferirono dal Mezzogiorno nelle regioni del Nord. Interi paesi dell’Italia meridionale si spopolarono, mentre le città dell’Italia settentrionale crescevano in modo caotico. La popolazione di Torino aumentò del 43% e quella di Milano del 25%.

Poche industrie al Sud

Vi furono alcuni tentativi da parte dello stato di portare le industrie al Sud, come nel caso dell’industria automobilistica a Pomigliano, vicino a Napoli, della siderurgia a Taranto, in Puglia, della chimica a Gela, in Sicilia. Tali interventi non riuscirono però a far partire un complessivo sviluppo industriale del Mezzogiorno, perché attorno a queste grandi fabbriche non nacquero altre piccole e medie imprese in grado di dare ricchezza alle regioni del Sud.

Mafia e potere

I problemi irrisolti del Meridione alimentavano un altro pericolo per lo stato democratico: la criminalità organizzata, in primo luogo la mafia. La mafia si trasformò da organizzazione criminale prevalentemente siciliana in un’organizzazione capace di agire sul territorio nazionale. Era nata la cosiddetta «mafia imprenditrice», che sfrutta a proprio vantaggio tutte le occasioni offerte dallo sviluppo economico: controlla gli appalti delle opere pubbliche ed entra nel mondo degli affari imponendo con la violenza le proprie regole. La mafia si inserisce inoltre nel commercio mondiale della droga, che procura fortissimi guadagni. Il potere della mafia si basa anche sull’appoggio di uomini politici e su legami internazionali con altre associazioni criminali. 

Le stragi di mafia

Decine e decine di magistrati, funzionari, poliziotti, giornalisti, uomini politici che si erano impegnati contro la mafia furono uccisi. Tra le tante vittime della mafia, sono noti i nomi del generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (assassinato con la moglie nel 1982) e dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi con le loro scorte il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Questi due giudici erano stati tra gli autori delle inchieste che portarono al cosiddetto «maxiprocesso alla mafia», tenutosi a Palermo nel 1986-1987. Fu chiamato così per il gran numero di imputati (oltre 400) e di condanne (365).

Una battaglia non ancora vinta

Il peso della criminalità organizzata si fece sempre più rilevante anche in Puglia, Calabria (‘ndrangheta) e in Campania (camorra). Anche queste organizzazioni criminali, come la mafia siciliana, strinsero rapporti con il mondo della politica e degli affari in tutta Italia. Il riconoscimento della gravità del problema indusse lo stato a lottare con più forza contro queste organizzazioni, senza tuttavia riuscire a sconfiggerle definitivamente. Anzi la criminalità organizzata penetrò anche nelle regioni dell’Italia settentrionale, pur senza compiere frequenti azioni sanguinarie.

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Lenzuola contro la mafia
Quelli che vedi nella fotografia non sono manifesti o cartelloni: sono lenzuola. Da più di vent’anni, cioè da quel tragico 1992 in cui furono assassinati i giudici Falcone e Borsellino, le lenzuola bianche appese ai balconi delle case sono diventate un simbolo di resistenza alla mafia.
In alto ci sono i ritratti di Giovanni Falcone (a sinistra) e Paolo Borsellino.
Al centro c’è il messaggio, ispirato da una frase che fu pronunciata da Falcone:
«GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO. E CONTINUERANNO A CAMMINARE SULLE GAMBE DI ALTRI UOMINI».

Il Comitato dei lenzuoli nacque a Palermo subito dopo le stragi del 1992. Un gruppo di cittadini lanciò l’idea di appendere lenzuola bianche ai balconi ogni mese, i giorni 19 e 23 (date degli attentati a Falcone e Borsellino). Ogni lenzuolo rappresenta un cittadino o una famiglia che è contro la mafia, che non dimentica coloro che sono morti per combatterla, che sostiene coloro che la combattono oggi.

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