Il terrore, la guerra, la speranza

Il fondamentalismo islamico

I fondamentalisti islamici divennero protagonisti all’inizio del XXI secolo. Volevano restaurare la purezza dell’ortodossia musulmana, minacciata secondo loro dall’influenza di altre religioni e dall’indifferenza verso le fedi, tipica del mondo occidentale. E lo volevano fare con il ritorno alle fonti religiose, in questo caso al Corano. I fondamentalisti islamici avevano fatto la loro comparsa con il movimento dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 in Egitto. Successivamente ottennero successo in Iran, quando la rivoluzione islamica, guidata da Khomeini, abbatté la dittatura dello shah di Persia, come hai visto nel capitolo 13. I nuovi dirigenti iraniani seguirono l’idea di uno stato teocratico, ossia uno stato che mette in pratica integralmente gli insegnamenti del Corano. Dal momento che quanto è scritto nel Corano deve essere letto e interpretato, il potere passava a coloro che avevano questo compito, i mullah.

I talebani

Successivamente i fondamentalisti si affermarono in Afghanistan, dopo la fine dell’occupazione militare sovietica, e conquistarono il potere (1996). I loro capi, chiamati «talebani», erano studenti delle scuole coraniche. Governarono applicando regole rigidissime, di cui le donne furono le principali vittime: furono rinchiuse in casa, costrette ad abbandonare il lavoro e a indossare il burqa, il velo integrale che non lascia scoperti neppure gli occhi. I talebani fornirono uomini, armi e ospitalità all’organizzazione terroristica chiamata al-Qaida e guidata da un miliardario arabo, Osama Bin Laden. I primi campi di reclutamento e formazione dei terroristi islamici sorsero proprio in Afghanistan al tempo dell’occupazione sovietica, in appoggio ai guerriglieri talebani.

Il terrorismo internazionale

Proprio in quest’area asiatica esplose il terrorismo islamico internazionale. Esso consisteva in attentati e azioni distruttive su persone e cose. Si trattava di un metodo di lotta già usato in passato, ma con due elementi nuovi:
• la dimensione internazionale in cui i terroristi operarono;
• l’idea di aggredire l’Occidente, la sua cultura laica, la sua società in cui uomini e donne hanno pari diritti e vivono nella libertà.
L’Occidente, e gli Stati Uniti in particolare, erano inoltre messi sotto accusa per i legami di amicizia e alleanza con Israele, cioè con il nemico storico dei paesi arabi (come hai visto nel capitolo 13). I terroristi islamici lanciarono una vera e propria guerra santa, di civiltà e di religione.

11 settembre 2001

In questa data quattro aerei di linea americani furono dirottati da terroristi islamici. Due furono lanciati contro le Torri gemelle di New York, che crollarono poco dopo. Un terzo piombò sul Pentagono, sede del ministero della Guerra, a Washington. Un quarto cadde in Pennsylvania, senza raggiungere il suo obiettivo (che probabilmente era la Casa Bianca, residenza del presidente degli Stati Uniti). Precipitò in seguito alla resistenza opposta dai passeggeri e dall’equipaggio ai dirottatori o forse abbattuto dalla stessa aviazione americana. Il presidente americano George W. Bush dichiarò che gli attentati erano un «atto di guerra» e accusò come responsabili Osama Bin Laden, capo dell’organizzazione islamista terroristica al-Qaida, e il regime afghano dei talebani che lo ospitava.

LEGGERE le IMMAGINI

Il crollo delle Torri gemelle
Queste due immagini si riferiscono all’attentato contro le Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001.
1 La prima torre è già stata colpita da un aereo ed è in fiamme.

2 Un secondo aereo si è appena schiantato contro l’altra torre.

3 Dopo poco più di un’ora, divorate dalle fiamme, le due torri crollano: muoiono quasi 3000 persone. Per lo più sono dipendenti e clienti delle banche e degli uffici che hanno sede nelle torri (alte 410 metri). Nella seconda immagine vediamo ciò che restò delle torri dopo il crollo.

La guerra senza parità

Quella tragica giornata, che tutto il mondo visse davanti alla televisione, mostrò non solo la forza del terrorismo, ma anche una regia accurata dell’esecuzione degli attentati, che colpivano il cuore della principale potenza mondiale. La sfida era al livello massimo, e questo per diverse ragioni:
• l’attentato aveva causato una vera carneficina, con oltre tremila vittime;
• erano stati colpiti i luoghi simbolo della potenza americana;
• l’azione aveva avuto effetti spettacolari, così che le immagini dei due grattacieli di New York abbattuti dagli aerei, divulgate dalla stampa e dalle televisioni, restarono impresse nella memoria di milioni di uomini e donne.
Il terrorismo mostrava anche di avere a disposizione grandi risorse finanziarie e tecnologiche. In più aveva dalla sua la disponibilità al sacrificio dei militanti. Tutti i terroristi che agirono l’11 settembre morirono insieme con le loro vittime. E sapevano di andare incontro a questa fine.

La guerra squilibrata

La guerra del terrore è diversa dalla guerra tradizionale. Chi compie atti terroristici non ha una precisa identità, da tutti riconoscibile. Non ha uno stato da cui muove. Agisce ovunque, perché presente in modo nascosto sullo stesso suolo nemico. Per questo la sua guerra è definita «asimmetrica », cioè squilibrata. In essa si fronteggiano due avversari diversi: l’uno è uno stato, con il suo esercito regolare, il suo territorio, le sue armi; l’altro è un nemico senza stato, senza territorio, camuffato e con armi imprevedibili. I servizi segreti americani lanciarono un allarme inquietante: i terroristi potevano avere armi batteriologiche, chimiche e persino atomiche. Negli anni successivi a Madrid, a Londra, in Egitto, in Arabia Saudita, in Marocco, furono compiuti attentati altrettanto gravi di quello dell’11 settembre 2001, pur con un numero minore di vittime.

La risposta all’11 settembre

Gli Stati Uniti, durante la presidenza di George W. Bush, risposero agli attentati con la guerra all’Afghanistan, ritenuto il principale protettore di Bin Laden e di al-Qaida. In poche settimane, tra l’ottobre e il novembre del 2001, abbatterono il regime dei talebani, senza tuttavia riuscire a catturare Bin Laden. Egli sarà catturato e ucciso nel 2011 con un’operazione militare in Pakistan, dove era nascosto, condotta dalle forze speciali americane.

La guerra preventiva

Nel 2003 il presidente Bush dichiarò guerra all’Iraq e al suo regime, guidato da Saddam Hussein. Il motivo della guerra fu il sospetto che l’Iraq stesse costruendo armi nucleari: fu quindi una guerra preventiva, cioè dichiarata allo scopo di prevenire il pericolo che un paese arabo si dotasse di armi atomiche. Gli USA furono appoggiati dalla Gran Bretagna, mentre altri paesi amici degli Stati Uniti si opposero, in mancanza di prove sicure sul possesso da parte dell’Iraq di armi nucleari. In poche settimane l’invasione anglo-americana portò alla caduta del regime di Saddam Hussein, che in seguito fu catturato e condannato a morte. Dopo la fine dell’invasione, l’Italia partecipò con una missione di pace nel sud del paese, con base principale a Nassiriya.

Un’area ad alto rischio per la pace

Gli americani e gli inglesi occuparono militarmente l’Iraq fino al 2011. Quando se ne andarono, il paese aveva un governo rappresentativo eletto dal popolo, ma non era pacificato. La vita di milioni di iracheni restava (e resta tuttora) sotto la minaccia di gruppi armati, responsabili di azioni terroristiche. Anche in Afghanistan la pacificazione resta un traguardo non raggiunto, nonostante l’introduzione di una Costituzione democratica. Nelle prime elezioni nazionali vinse il candidato moderato Hamid Karzai, ma i capi tribù continuano a governare di fatto alcune zone del paese. Inoltre parte della popolazione è controllata dai cosiddetti «signori della guerra», che si finanziano con il traffico internazionale di droga. L’Afghanistan è infatti il primo paese al mondo produttore di oppio, da cui si ricavano diverse droghe, come l’eroina.

La primavera araba

In alcuni paesi arabi, nel 2010 si ebbe una svolta. In Tunisia e in Egitto si verificarono grandi manifestazioni di protesta contro i governi, accusati di negare ogni libertà e di essere corrotti. Ben ‘Ali (presidente della Tunisia) e Mubarak (presidente egiziano) furono costretti a lasciare il potere e ad andare in esilio. Nei due paesi vennero formati governi più democratici. Le aspirazioni di libertà e democrazia, però, devono fare i conti con i partiti musulmani, i quali vogliono che le leggi dello stato siano influenzate dalla religione. Anche in Marocco e in Giordania la popolazione scese in piazza per protestare contro i governi autoritari. Furono attuate alcune riforme, come la crescita dei poteri del Parlamento e l’introduzione di maggiori libertà. Nel caso marocchino, un nuovo codice di famiglia riconobbe la parità tra uomo e donna, fino ad allora negata, e il divieto per l’uomo di ripudiare la moglie.

La guerra civile in Libia

Ex colonia italiana, la Libia era governata da una dittatura militare, guidata dal colonnello Gheddafi, con il quale diversi stati europei, compresa l’Italia, mantenevano buoni rapporti perché si rifornivano di petrolio e di gas, di cui la Libia è produttrice. Nel febbraio del 2011 scoppiò una rivolta contro il regime autoritario di Gheddafi, motivata dal desiderio di democrazia e di cambiamento. Il governo scatenò una spietata repressione contro gli oppositori. I ribelli passarono alla lotta armata, con l’adesione di alcuni ufficiali dell’esercito e di molti reparti militari. Intanto l’ONU autorizzò qualsiasi stato membro a intervenire a protezione della popolazione civile. Francia e Gran Bretagna intervennero in appoggio dei ribelli. In ottobre Gheddafi fu catturato e ucciso, e il suo regime abbattuto. Iniziava una fase di transizione, resa difficile da diverse ragioni: la presenza tra i ribelli di integralisti islamici, poco interessati a instaurare la democrazia; la divisione del paese in tribù, che non sempre accettano l’azione dello stato; l’ingerenza di potenze straniere e dei paesi confinanti.

Lo stato islamico del terrore

In Siria, nel 2011, scoppiò una guerra civile tra i sostenitori del presidente Assad e i suoi oppositori. Anche in questo caso, i fondamentalisti islamici entrarono in scena per cercare di imporre il loro controllo sul paese. Il conflitto dura tuttora e ha già fatto almeno 200 000 vittime. Nelle aree sconvolte dalla guerra civile si è costituito uno stato islamico, chiamato Isil, con a capo il califfo Bakr al-Baghdadi. L’Isil controlla aree importanti in Libia e Iraq. Inoltre si è organizzato in diversi stati africani, quali la Nigeria, il Mali e il Sudan. Dispone di migliaia di combattenti, reclutati non solo nell’area orientale, ma anche in Europa e in Estremo Oriente tra i musulmani emigrati. L’Isil applica una strategia del terrore, con decapitazioni, lapidazioni, esecuzioni di ostaggi, stermini di massa, distruzione di aree archeologiche. Si finanzia con la vendita del petrolio presente in abbondanza nelle zone occupate, con la tassazione delle popolazioni e con il contrabbando di reperti archeologici. I suoi militanti hanno compiuto atti terroristici anche in paesi europei. A Parigi, nel novembre del 2015, una serie di attacchi armati ha provocato in poche ore 130 vittime: erano persone che stavano trascorrendo una normale serata in alcuni locali della città. Pochi giorni prima, un altro atto terroristico aveva abbattuto un aereo di linea russo, con oltre duecento persone a bordo. Contro la minaccia portata dall’Isil vi è stata una risposta militare, condotta da diversi paesi e da diverse forze armate. Sul territorio controllato dall’Isil si sono schierati combattenti del popolo curdo, mentre Francia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno effettuato bombardamenti aerei sulle zone occupate dall’Isil.

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