Lo sviluppo sostenibile
Agenda 21
Nel 1987 la Commissione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo delle Nazioni Unite pubblicò un rapporto che introduceva il concetto di «sviluppo sostenibile», o durevole. Lo definiva come «lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri». Nel 1992 le Nazioni Unite diedero il via al programma Agenda 21, che indica le principali azioni che i governi devono intraprendere per uno sviluppo sostenibile. Le principali direttive del programma Agenda 21 (chiamato così in riferimento al XXI secolo) sono:
• conservare le riserve naturali;
• favorire la rigenerazione dell’ambiente naturale;
• ridurre l’inquinamento atmosferico;
• ridurre la produzione di rifiuti.
Gli ecologisti
Nonostante gli allarmi degli scienziati e i programmi dell’ONU, raramente i governi hanno preso serie iniziative per lo sviluppo sostenibile. Perciò, negli ultimi decenni, sono diventate sempre più attive le associazioni di ecologisti o ambientalisti. Tra esse ricordiamo il WWF (Fondo mondiale per la natura) e Greenpeace, particolarmente combattiva. Queste associazioni denunciano all’opinione pubblica i problemi dell’ambiente e l’inerzia dei governi, che non prendono provvedimenti adeguati a risolverli. Elaborano e sostengono progetti di legge che difendano la natura e vietino le attività umane che la distruggono.
Water divide
Alla lettera significa «l’acqua divide». È un’espressione inglese che si può tradurre con «la diseguale distribuzione dell’acqua». La Terra è ricoperta per oltre due terzi di acqua, ma solo il 2,5% di essa è bevibile senza dover ricorrere a costosi processi di desalinizzazione. La disponibilità d’acqua per i paesi del Terzo mondo sta diminuendo rapidamente. Le risorse d’acqua potabile sono, per motivi climatici, prevalentemente presenti nell’emisfero nord del pianeta, come emerge dalla cartina. Il divario tra il nord e il sud del mondo relativamente alla disponibilità di acqua è quindi in aumento.
Nucleare sì, nucleare no
L’uso di energia nucleare a scopi di pace è oggetto di discussioni. La tendenza prevalente è favorevole alla riduzione delle centrali nucleari, per il rischio di incidenti e per la difficoltà di smaltimento dei rifiuti radioattivi, le cosiddette «scorie nucleari». Queste infatti mantengono un elevato grado di radioattività anche a distanza di molti secoli. L’incidente verificatosi nel 1986 nella centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina, dimostrò che guasti tecnici ed errori umani possono provocare la perdita di molte vite e danni ambientali ed economici enormi. Anche i danni causati da un terremoto con maremoto alla centrale di Fukushima in Giappone (nel 2011) dimostrarono la pericolosità delle centrali nucleari. I favorevoli, invece, sostengono che il rischio del nucleare è infinitamente più basso rispetto a quello delle centrali a carbone o a petrolio. Queste ultime hanno il grave difetto di essere molto inquinanti. Pertanto è indispensabile che i governi investano nella ricerca e sviluppo delle energie pulite (solare, eolica, ecc.).