L’economia globale

La mappa del mondo

Le statistiche indicano che i tre quinti della popolazione mondiale vivono nel cosiddetto Terzo Mondo, termine che definisce l’area del sottosviluppo.
I parametri utilizzati per identificare il sottosviluppo sono i seguenti:
1. reddito medio annuo inferiore ai 1000 dollari per persona (il reddito medio di un italiano è di 30 000 dollari);
2. prospettive di durata della vita intorno ai 50 anni (gli italiani vivono in media oltre 75 anni);
3. disponibilità di calorie per persona inferiore alle 2000 giornaliere (considerate il livello ottimale);
4. numero di analfabeti superiore al 50% della popolazione;
5. mancanza di presidi sanitari (ospedali, cliniche, autoambulanze).

Una favela (quartiere di baracche) di Città del Messico.

Il sottosviluppo

In alcune nazioni, bassi livelli di reddito assicurano alla maggioranza della popolazione una vita dignitosa e relativamente sicura; in altre, invece, il timore di carestie e di morte prematura assilla milioni di persone; in altre, ancora, convivono persone fornite di notevoli ricchezze e altre in povertà estrema. Il cosiddetto Terzo Mondo si trova prevalentemente in Asia, Africa, America latina. È molto differenziato al suo interno. In America latina cicli di prosperità si sono alternati a fasi di crisi, in un quadro di forti squilibri sociali. Le megalopoli del Sud America ne sono la prova, con milioni di persone che abitano in baracche e vivono con attività illecite o con gli aiuti dello stato. Anche il quadro economico dell’Africa è diversificato. La zona del sottosviluppo coinvolge l’Africa sub-sahariana, nella quale vive mezzo miliardo di persone, ossia quasi il 10% della popolazione mondiale, con un reddito che non supera il 2% di quello mondiale.

Il nuovo capitalismo asiatico

In Asia si sono verificati i cambiamenti più rapidi con il passaggio dal sottosviluppo al forte sviluppo, soprattutto nell’area del Pacifico. La crescita economica del Giappone ha trascinato altri paesi, quali le Filippine, la Malaysia, Taiwan, Singapore, la Corea del Sud, l’Indonesia. A queste realtà si sono uniti di recente anche i due giganti asiatici, l’India e la Cina. Un gruppo di paesi emergenti è così avanzato a rapidi passi nel panorama mondiale. Negli equilibri mondiali la Cina sta acquisendo un peso crescente, destinato a influenzare l’economia di tutti i continenti. Dagli anni Ottanta del Novecento, l’economia cinese procede con ritmi di crescita mai visti prima. Lo sviluppo cinese non ha messo in discussione la forma di governo. La Cina rimane l’unica potenza mondiale governata da un regime di tipo comunista, poco rispettoso dei diritti umani. Tuttavia l’economia cinese ha seguito il modello di sviluppo del capitalismo occidentale.

Gli USA, superpotenza militare

Gli Stati Uniti continuano a rappresentare la sola superpotenza mondiale dal punto di vista militare. Hanno un sistema militare di gran lunga superiore a qualsiasi altro stato, con basi sotto diretto controllo, poste in luoghi strategici dell’Asia, del Pacifico e dell’Europa occidentale. Sono oltre 700 le basi militari americane nel mondo. Inoltre gli USA controllano lo spazio con i satelliti, con le reti d’informazioni, con la comunicazione informatica. Tra le grandi potenze economiche sono infatti quella tecnologicamente più avanzata.

Dal piccolo al grande mondo

Nel Medioevo gli uomini producevano e scambiavano i prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato in un’area ristretta. Poi i mercanti cominciarono ad affrontare lunghi viaggi per terra e per mare, per raggiungere paesi lontani. Dopo le scoperte geografiche del XV e XVI secolo, gli europei cominciarono ad avere orizzonti più ampi. Iniziò allora un’integrazione mondiale dell’economia, ossia una rete di rapporti economici che avevano come riferimento non più l’area locale, ma mercati e uomini anche molto lontani dai luoghi della produzione. Oggi si usa il termine globalizzazione per indicare questo fenomeno. Esso si è manifestato pienamente alla fine del secolo scorso sotto la spinta di mutamenti di varia natura. Ha contato la formazione di un mercato mondiale della finanza, a sua volta reso possibile dall’introduzione di sistemi informatici di comunicazione e di scambio delle notizie. Vediamolo in concreto. Oggi un italiano che mette i soldi in banca e li investe acquistando azioni, in realtà inserisce i suoi risparmi in un circuito mondiale. Il suo denaro può essere usato per acquistare un prodotto che nasce dall’altra parte del globo.

SCIENZA & tecnologia

Lo sviluppo sostenibile

Agenda 21
Nel 1987 la Commissione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo delle Nazioni Unite pubblicò un rapporto che introduceva il concetto di «sviluppo sostenibile», o durevole. Lo definiva come «lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri». Nel 1992 le Nazioni Unite diedero il via al programma Agenda 21, che indica le principali azioni che i governi devono intraprendere per uno sviluppo sostenibile. Le principali direttive del programma Agenda 21 (chiamato così in riferimento al XXI secolo) sono: 
• conservare le riserve naturali;
• favorire la rigenerazione dell’ambiente naturale;
• ridurre l’inquinamento atmosferico;
• ridurre la produzione di rifiuti. 

Gli ecologisti
Nonostante gli allarmi degli scienziati e i programmi dell’ONU, raramente i governi hanno preso serie iniziative per lo sviluppo sostenibile. Perciò, negli ultimi decenni, sono diventate sempre più attive le associazioni di ecologisti o ambientalisti. Tra esse ricordiamo il WWF (Fondo mondiale per la natura) e Greenpeace, particolarmente combattiva. Queste associazioni denunciano all’opinione pubblica i problemi dell’ambiente e l’inerzia dei governi, che non prendono provvedimenti adeguati a risolverli. Elaborano e sostengono progetti di legge che difendano la natura e vietino le attività umane che la distruggono.

Water divide
Alla lettera significa «l’acqua divide». È un’espressione inglese che si può tradurre con «la diseguale distribuzione dell’acqua». La Terra è ricoperta per oltre due terzi di acqua, ma solo il 2,5% di essa è bevibile senza dover ricorrere a costosi processi di desalinizzazione. La disponibilità d’acqua per i paesi del Terzo mondo sta diminuendo rapidamente. Le risorse d’acqua potabile sono, per motivi climatici, prevalentemente presenti nell’emisfero nord del pianeta, come emerge dalla cartina. Il divario tra il nord e il sud del mondo relativamente alla disponibilità di acqua è quindi in aumento.

Nucleare sì, nucleare no
L’uso di energia nucleare a scopi di pace è oggetto di discussioni. La tendenza prevalente è favorevole alla riduzione delle centrali nucleari, per il rischio di incidenti e per la difficoltà di smaltimento dei rifiuti radioattivi, le cosiddette «scorie nucleari». Queste infatti mantengono un elevato grado di radioattività anche a distanza di molti secoli. L’incidente verificatosi nel 1986 nella centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina, dimostrò che guasti tecnici ed errori umani possono provocare la perdita di molte vite e danni ambientali ed economici enormi. Anche i danni causati da un terremoto con maremoto alla centrale di Fukushima in Giappone (nel 2011) dimostrarono la pericolosità delle centrali nucleari. I favorevoli, invece, sostengono che il rischio del nucleare è infinitamente più basso rispetto a quello delle centrali a carbone o a petrolio. Queste ultime hanno il grave difetto di essere molto inquinanti. Pertanto è indispensabile che i governi investano nella ricerca e sviluppo delle energie pulite (solare, eolica, ecc.).


Buona o cattiva?

Non tutti la pensano allo stesso modo sulla globalizzazione. Alcuni la giudicano positivamente, perché in certi casi è sicuramente servita a dare sviluppo a paesi che un tempo erano arretrati. In altri casi no. Ad esempio, il Mali, uno stato africano sulla costa occidentale da dove un tempo partivano le navi cariche di schiavi, è il terzo produttore al mondo di oro ed è ricco di giacimenti di uranio. Queste risorse, però, sono nelle mani di società straniere e il Mali è agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sulla ricchezza e la qualità della vita. Quelli che criticano la globalizzazione (chiamati no-global) sostengono che gli stati e le persone non sono più padroni del loro futuro. Grandi banche, società d’affari, produttori di merci sono i veri padroni dell’economia e influenzano in modo decisivo i governi. Sostengono anche che la globalizzazione non ha favorito la crescita civile. Il caso della Cina è indicato come esemplare. Abbiamo visto che è uno dei paesi emergenti, ma è anche uno stato che non garantisce i diritti civili, la libertà di informazione, la democrazia reale.

La grande crisi

La dimensione globale dell’economia spiega i caratteri della grande crisi economica che ha investito il mondo all’inizio del XXI secolo. L’economia è in crisi quando cala la produzione e sale la disoccupazione; diminuisce la ricchezza del paese e aumentano i rischi per il futuro. Insomma c’è crisi quando le persone avvertono un peggioramento delle proprie condizioni di vita e guardano con incertezza al futuro.

Due modi per fare soldi

Ci sono due modi per aumentare la ricchezza di un individuo o di una società intera: il primo modo è quello tradizionale, e cioè produrre oggetti e servizi che sono richiesti da altri. Se io produco pomodori e i pomodori sono pagati dal consumatore più di quanto costano a me, realizzo un guadagno. Se io uso questa ricchezza per comperare beni o servizi, anche altre persone o imprese si arricchiranno. Il guadagno può andare a vantaggio di molti, perché crea lavoro. Infatti, se un’impresa realizza buoni incassi, assumerà personale per produrre di più. Questa è la ricchezza reale, che nasce da attività economiche che producono oggetti, beni, merci e servizi. Vi è però un’altra strada per generare ricchezza. È quella finanziaria, ossia produrre soldi dai soldi. Lo abbiamo visto parlando della Borsa e delle azioni, o della crisi che scoppiò nel 1929 (capitolo 8). L’economia del mondo occidentale è entrata in crisi a partire dal 2008. Questa crisi è scaturita proprio dalla finanza, cioè da quel settore che sposta denaro e che fa soldi utilizzando i soldi.

Lo squilibrio

Negli ultimi decenni si è generato uno squilibrio fuori del comune. Il valore complessivo della ricchezza «di carta», quella della finanza, è diventato di gran lunga più alto di quello dell’economia reale (quella delle cose concrete, cioè merci e servizi).

Il crac

Nell’anno 2012, negli Stati Uniti, il valore prodotto ogni giorno dall’economia finanziaria era di 60 volte superiore al valore prodotto dall’economia reale in tutto l’anno (attenzione: in tutto l’anno!). Cioè: la ricchezza generata dall’acquisto e vendita dei titoli (azioni, debito degli stati) era molto più alta di quella ricavata dalla produzione di merci e servizi. Lavorare, produrre, commerciare rendeva infinitamente meno che stare seduti davanti a un computer ad acquistare o vendere titoli e azioni. Quel mondo di carta, quindi, si è sviluppato soprattutto grazie al computer, che consente di fare operazioni finanziarie immediate in tutto il mondo e di inventare mille modi per fare soldi con i soldi. Questo sistema diede segnali di crisi nel 2008, quando fallì una banca negli USA. Non una banca qualunque, ma la più grande banca d’affari del mondo: la Lehman Brothers. Non fu l’unica a fallire o a registrare colossali perdite. Altre la seguirono e, come un castello di carte, crollarono una a una. Che cosa era successo?

Andiamo nei cantieri

Per capirlo bisogna trasferirsi nei cantieri dell’edilizia non solo americana, ma anche europea. Per anni e anni vi era stata una corsa a costruire case, a vendere e comperare alloggi. Le banche avevano incoraggiato questa corsa concedendo mutui (prestiti sull’acquisto di case) a bassi interessi. A un certo punto, però, molti di coloro che avevano fatto un mutuo non avevano più denaro per pagarlo. La crisi dei mutui scatenò la crisi delle banche. Il disastro fu rapido e di dimensioni eccezionali. Le banche persero in un solo anno, il 2009, una cifra pari a quella che in quell’anno guadagnarono tutti gli americani. Nella stessa situazione delle banche si vennero a trovare molti stati, che avevano accumulato enormi debiti e dovevano pagare moltissimi interessi.

Dall’America all’Europa

La crisi si spostò rapidamente dall’America all’Europa, e qui mise in difficoltà i paesi più indebitati e meno produttivi, come la Spagna, la Grecia, l’Irlanda e l’Italia. L’Unione Europea intervenne, perché le sorti di quei paesi riguardavano tutti gli stati che usavano la stessa moneta, l’euro, e che dipendevano dalla Banca centrale europea. In ciascun paese furono aumentate le tasse e ridotte le spese pubbliche. La medicina fu pesante per milioni di cittadini. La riduzione della spesa pubblica andò a colpire soprattutto lo stato sociale, cioè i servizi che lo stato fornisce ai cittadini, come la scuola e le cure mediche. I problemi si aggravarono perché la crisi si estese al settore produttivo. La gente aveva meno soldi, perciò comperava meno prodotti. Le aziende, vendendo di meno, dovettero diminuire la produzione e licenziare il personale. Debiti degli stati, debiti delle banche e crisi produttiva generarono un groviglio di difficoltà difficili da superare.

StoriaFacile 3
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