Il Nord America a inizio Ottocento
Ai primi dell’Ottocento nell’America settentrionale grandi territori, colonizzati dagli europei, appartenevano a stati diversi. A nord-ovest, l’Alaska era di proprietà della Russia, che la usava solo per la caccia degli animali da pelliccia. Lungo la costa dell’oceano Pacifico, fino alla California, s’incontravano villaggi abitati da missionari e da coloni spagnoli. Queste terre, insieme con il Texas, facevano parte del vicereame spagnolo del Messico. Sulla costa atlantica c’erano gli ex domini inglesi degli Stati Uniti, indipendenti dal 1776.
Mezzo secolo di espansione
Nel XIX secolo, gli Stati Uniti estesero progressivamente i loro territori dall’oceano Atlantico al Pacifico. Nei decenni successivi si aggiunsero la Florida, comperata dagli spagnoli, il Texas, staccatosi dal Messico, e vasti territori del nord-ovest e del sud-ovest. Questi ultimi furono annessi dagli Stati Uniti nel 1848, a seguito di una guerra con il Messico. Vent’anni dopo gli Stati Uniti acquistarono l’Alaska dalla Russia. Con l’acquisizione di così vaste regioni, diventarono la principale unità politica del Nord America.
Uno straordinario balzo in avanti
In parallelo con l’estensione del territorio, crebbe anche la popolazione degli Stati Uniti, passando dai 9 milioni del 1800 ai circa 30 milioni del 1860. In nessuna parte del mondo si era mai visto un incremento così rapido. Ciò fu possibile anche perché gli Stati Uniti accolsero milioni di emigranti dall’Europa, attirati dalle risorse di un immenso territorio. Tra il 1800 e il 1860 emigrarono verso gli Stati Uniti quasi 5 milioni di persone. La maggioranza di loro proveniva dall’Irlanda, dalla Germania e dalla Svezia. Una successiva ondata di emigranti, ancora più consistente, arrivò alla fine del secolo, con circa 20 milioni tra scandinavi, ebrei, polacchi, russi, italiani e asiatici. Fu allora che gli Stati Uniti diventarono quello che sono attualmente: un insieme di popoli, una nazione di nazioni.