Sostenitori e nemici dell’unità d’Italia
Come hai visto nel capitolo precedente, i sostenitori della necessità di unire l’Italia in un unico stato erano aumentati dopo il 1848. Ed erano aumentati coloro che volevano un’iniziativa del Regno di Sardegna, con l’appoggio sia dei moderati sia dei patrioti che seguivano Garibaldi. Mazzini, con le sue idee di una rivoluzione repubblicana, non aveva più molto seguito. Gli unici decisamente contrari all’unità, perché non volevano cambiare la situazione esistente, erano il papa Pio IX e Francesco II, re delle Due Sicilie dal 1859. Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, dopo la guerra di Crimea aveva ottenuto l’appoggio della Francia governata da Napoleone III, al quale aveva promesso ingrandimenti territoriali (la cessione alla Francia della Savoia e di Nizza), in cambio dell’intervento militare a fianco del Piemonte, nel caso in cui l’Austria avesse attaccato (vedi cap. 15).
La trappola di Cavour
La condizione per mettere in atto gli accordi franco-piemontesi, cioè per ottenere l’aiuto militare della Francia, era che il Piemonte venisse attaccato dall’Austria. Nell’aprile del 1859, quindi, Cavour provocò l’attacco dell’Austria: ammassò truppe ai confini con l’Impero austriaco e arruolò nell’esercito piemontese i volontari di Garibaldi (i garibaldini). Fece fare esercitazioni militari nelle vicinanze del Ticino, il fiume che segnava il confine tra Piemonte e Lombardo-Veneto. L’imperatore austriaco Francesco Giuseppe intimò di sospendere tali azioni, ma Cavour rispose negativamente. A quel punto l’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna.
La Seconda guerra di indipendenza
Fu l’inizio della Seconda guerra di indipendenza, durata dal 27 aprile all’8 luglio del 1859. Gli austriaci sferrarono un’offensiva, sperando di annientare l’esercito piemontese prima dell’arrivo dei francesi. Ma l’avanzata oltre il Ticino fu ritardata dalle piogge e dalle inondazioni delle campagne provocate dai piemontesi. Intanto le truppe francesi arrivarono rapidamente in Piemonte, grazie anche all’utilizzo del treno: era la prima volta che questo mezzo di trasporto veniva impiegato in una guerra. A metà maggio Napoleone III assunse il comando dei due eserciti alleati, assai superiori per uomini e mezzi (120 000 francesi e 60 000 piemontesi contro 110 000 austriaci). Una serie di offensive aprì la strada ai franco-piemontesi e permise l’ingresso in Milano di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II.
Le vittorie e l’armistizio
Intanto Garibaldi, con i suoi volontari organizzati nella brigata dei Cacciatori delle Alpi, occupava Varese, Como, Bergamo e Brescia. Il loro compito era di avanzare con rapide incursioni e accendere entusiasmo nella popolazione, così da reclutare nuovi volontari. Nel giugno del 1859 si ebbero due decisive vittorie franco-piemontesi, nelle battaglie di Solferino (costata 5 000 morti, una cifra per quel tempo così alta da suscitare raccapriccio) e di San Martino. L’esercito austriaco ripiegò e si chiuse nelle fortezze del Veneto occidentale, il cosiddetto Quadrilatero. Intanto in Emilia, Romagna e Toscana la popolazione insorse chiedendo l’annessione al Piemonte. Tali sviluppi preoccuparono Napoleone III, che temeva un intervento della Prussia a fianco dell’Austria. In luglio, senza consultare l’alleato piemontese, decise di ritirarsi dal conflitto. Firmò con gli austriaci l’armistizio di Villafranca, che cedeva al Regno di Sardegna la sola Lombardia. Cavour cercò di convincere Vittorio Emanuele II a proseguire la guerra da solo. Di fronte al rifiuto del re, Cavour si dimise da presidente del Consiglio. Tra Francia e Piemonte si trovò comunque un’intesa: sottoporre al giudizio delle popolazioni emiliane, romagnole e toscane la proposta di far parte del nuovo regno che si stava formando. Queste votazioni, chiamate plebisciti, diedero risultato favorevole all’annessione: si formò così uno stato nuovo, composto da Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Romagna e Toscana (1860).