I totalitarismi in Europa

Il fascismo alla conquista di una colonia

Negli stessi anni in cui il nazismo si affermava in Germania, in Italia il regime fascista consolidava il proprio potere. Lo fece anche con una guerra coloniale che suscitò entusiasmo negli italiani. Obiettivo fu l’Etiopia: era un paese dell’Africa orientale, confinante con Somalia e Eritrea, già colonie italiane. La volontà di conquistare una delle poche zone ancora non colonizzate del continente africano rispondeva a due esigenze: la prima, di dimostrare all’Europa come l’Italia fosse capace di attuare una politica di potenza che la ponesse sullo stesso piano di Francia, Inghilterra e Germania; la seconda, di provare agli italiani che il fascismo poteva offrire nuove terre e nuove risorse alla popolazione.

Nelle braccia della Germania nazista

Nell’ottobre del 1935, ignorando le proteste dell’Inghilterra, Mussolini ordinò l’invasione dell’Etiopia, portata a termine nel maggio del 1936 sotto il comando del generale Pietro Badoglio. L’esercito italiano fece uso di armi chimiche a base di iprite e fosgene. Queste armi produssero danni devastanti sull’ambiente e sulla popolazione civile. Tra gli applausi degli italiani per la conquista di una terra africana, Mussolini proclamò la formazione dell’impero, con a capo Vittorio Emanuele III. Gli stati democratici d’Europa disapprovarono l’impresa coloniale italiana e la Società delle nazioni inflisse al nostro paese delle sanzioni economiche. Ciò significa che gli stati aderenti alla Società delle nazioni interruppero gli scambi commerciali con l’Italia. Allora l’Italia fascista si avvicinò sempre più alla Germania nazista, con la quale strinse un’alleanza. Nel 1936 Mussolini firmò un accordo, chiamato «Asse Roma-Berlino», con cui i due stati si univano contro il comunismo e a favore delle dittature. 

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L’«impero» fascista
La carta mostra i possedimenti coloniali dell’Italia nel 1936.
La Libia era stata conquistata nel 1912, dopo una guerra contro l’Impero ottomano.
Eritrea e Somalia erano le prime colonie italiane, formate alla fine dell’Ottocento.

Le leggi contro gli ebrei

Mussolini volle imitare il dittatore tedesco nella politica razziale. Nel 1938 emanò le leggi contro gli ebrei, che in Italia formavano una comunità di circa 70 000 persone. Gli ebrei furono licenziati dalla pubblica amministrazione, cioè non poterono più lavorare come dipendenti dello stato o dei comuni. I bambini ebrei non poterono più frequentare la scuola media e il liceo nelle scuole pubbliche; nelle elementari furono raggruppati in sezioni speciali. Gli insegnanti ebrei di ogni ordine di scuola e dell’università furono licenziati. Furono vietati i matrimoni tra cittadini italiani ed ebrei. Gli ebrei stranieri furono espulsi dall’Italia. Le leggi razziali ferivano la coscienza dei cattolici e della maggioranza degli italiani, che non avevano una cultura antiebraica. Tuttavia le voci critiche furono poche, anche perché, sotto la dittatura del fascismo, chi si opponeva rischiava pesanti sanzioni o violenze.

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Qui gli ebrei non possono entrare
Affinché le leggi razziali fossero ben chiare a tutti gli italiani, il governo fascista fece pubblicare manifesti come quello che vedi qui a fianco.

Gli ebrei furono espulsi dagli uffici pubblici e dalle scuole pubbliche, non poterono prestare servizio militare e persero la proprietà delle loro aziende.

Fu loro vietato di possedere case e terreni.
Inoltre non potevano avere alle loro dipendenze personale non ebreo: non era concepibile, infatti, che un ebreo fosse il «capo» di un italiano non ebreo.

Fu vietato agli ebrei stranieri di entrare in Italia.
Quelli che erano già presenti furono espulsi.
Essi si rifugiarono soprattutto in Francia e negli Stati Uniti.

L’Italia si prepara alla guerra

Nel 1938 ci furono i primi segnali dell’aggravarsi della situazione internazionale. Le ambizioni di Hitler dilagavano. Mussolini si stava allineando alla Germania hitleriana. Le voci di una guerra imminente cominciavano a serpeggiare tra la gente. Fare degli italiani un popolo di guerrieri fu una delle finalità di Mussolini. A questo scopo il fascismo fece ricorso anche a strumenti per lo meno curiosi. Ad esempio, i fascisti cercarono di abolire l’uso di rivolgersi a una persona dandole del lei (considerato un’espressione straniera). Volevano invece che gli italiani usassero il voi, parola più maestosa. Nello stesso anno fu introdotto il passo romano, che imitava il passo dell’oca germanico. Ovunque si diffuse il saluto fascista, con il braccio teso e il palmo della mano aperto. Simile al saluto nazista, era un gesto carico di significati: rappresentava soprattutto l’antitesi (cioè l’esatto contrario) del pugno chiuso di origine bolscevica.

Un esercito forte solo a parole

Al pari della Germania, l’Italia accelerò i programmi per l’esercito. I piani militari si ispiravano alla Prima guerra mondiale e, quindi, non tenevano conto della rivoluzione tecnologica che stava modificando le strategie militari. Apparivano del tutto tramontati gli eserciti della Prima guerra mondiale, basati sul principio della superiorità della fanteria e sulla lenta avanzata di milioni di uomini. Truppe corazzate, aviazione, corpi speciali, navi: queste erano le nuove forze della guerra imminente. Mussolini mostrava sicurezza. Nel 1938, in un discorso al Senato, disse che l’esercito avrebbe reclutato 9 milioni di combattenti; dai 4 ai 5 milioni avrebbero combattuto in prima linea. Vantò la forza dell’Italia sui mari, e anche sotto i mari: «Confermo al Senato che l’Italia ha oggi la flotta sottomarina più potente del mondo. Abbiamo distanziato tutti in modo tale, che sarà molto difficile, se non impossibile, raggiungerci e toglierci questo primato». Anche nei cieli, naturalmente, l’Italia non temeva rivali: «Oggi l’aviazione italiana è la prima al mondo. Esiste la possibilità di avere un massimo di 20 000-30 000 piloti». Due anni più tardi si sarebbe toccata con mano l’assoluta infondatezza di tali cifre. Nel 1940, a guerra iniziata, i piloti reclutati furono 300 e non 30 000.

La guerra di Spagna

Dopo la Germania, fu la Spagna a passare sotto un regime autoritario, al termine di una guerra civile durata oltre tre anni. La Spagna era una repubblica dove, nel 1936, le elezioni furono vinte dai partiti di Sinistra, uniti in un’alleanza chiamata «Fronte popolare». Nell’estate di quello stesso anno un gruppo di generali, guidato da Francisco Franco, tentò un colpo di stato per impadronirsi del potere. I generali erano appoggiati dai partiti di Destra, dall’aristocrazia e dalla Chiesa cattolica. Ne nacque una guerra civile. In difesa della democrazia, arrivarono in Spagna migliaia di volontari comunisti, socialisti, anarchici, provenienti da diversi paesi europei, che combatterono a fianco dell’esercito repubblicano. Francia e Gran Bretagna si mantennero neutrali. L’Unione Sovietica inviò aiuti in armi e aerei al Fronte popolare. Invece le potenze fasciste, Italia e Germania, fornirono uomini e armi a Franco. La guerra terminò nel marzo del 1939 con l’ingresso in Madrid delle truppe comandate dal generale Franco. Egli prese il potere e instaurò un regime di tipo fascista, eliminando tutti gli oppositori.

Stalin: il totalitarismo in Unione Sovietica

Dopo la morte di Lenin (1924) e un periodo di lotte per il potere, verso la fine degli anni Venti si affermò in Unione Sovietica il potere di Stalin, che introdusse un regime di tipo totalitario. Stalin abolì la proprietà privata e dichiarò proprietà dello stato tutti i mezzi di produzione (fabbriche, terre e miniere). Tutto ciò rese possibile una forte crescita economica, ma portò alla costruzione di un regime fondato sul terrore, sull’eliminazione di tutti gli oppositori e sui campi di concentramento, con enormi costi umani.

I piani quinquennali

L’abolizione della proprietà privata e il controllo da parte dello stato di tutta la produzione furono realizzati con un’economia pianificata. Ciò significa che lo stato sovietico indicava gli obiettivi da raggiungere: quantità di prodotti agricoli e industriali da produrre (tonnellate di grano, di acciaio e così via), i loro prezzi, la loro qualità. Lo fece con piani quinquennali, che fissavano di volta in volta gli obiettivi da realizzare entro cinque anni. Gli scopi di questa pianificazione erano due: fornire cibo sufficiente ai 200 milioni di cittadini sovietici; industrializzare rapidamente il paese, che era ancora molto arretrato. Per l’esecuzione dei piani quinquennali i comunisti facevano affidamento sullo «slancio individuale», ossia sull’impegno dei lavoratori. In quegli anni la propaganda insisteva molto sugli «eroi del lavoro socialista». L’esempio per tutti era il minatore Stachanov: egli aveva ideato un nuovo metodo per estrarre il carbone, che permetteva di ottenere più minerale. In pratica, però, i lavoratori furono costretti a effettuare turni di lavoro massacranti, decisi dal Partito comunista. La produzione industriale aumentò molto, ma a prezzo di grandi sofferenze per la popolazione.

STORIA & memoria

Il gulag, inferno di ghiaccio

L’eliminazione degli oppositori
Mentre procedeva a realizzare l’industrializzazione guidata dall’alto, Stalin impose un controllo totale sulla società. Affermò il suo potere personale e impose a tutti i sovietici l’obbedienza agli ordini che venivano dal partito, da lui guidato. Gli oppositori, reali o immaginari, furono duramente colpiti. Milioni di persone furono condannate ai lavori forzati nei campi di concentramento (i gulag).


Detenuti in un gulag della Siberia, dove erano costretti a lavorare in condizioni climatiche terribili.


Morire nei gulag

I gulag erano campi di lavoro forzato, situati in zone difficilmente raggiungibili, per lo più in Siberia. Il numero massimo di prigionieri fu raggiunto nel 1950 con due milioni e mezzo di reclusi. La brutalità del trattamento, la durezza del lavoro forzato, il freddo, la fame, le malattie non curate furono le principali ragioni dell’alta mortalità tra i prigionieri. 


Impossibile fuggire

Il taglio e trasporto del legname e il lavoro in miniera erano le attività più comuni e più dure. Le condizioni di lavoro erano talmente insopportabili che alcuni prigionieri si provocavano volontariamente gravi lesioni, pur di restare a riposo per un certo periodo. Non tutti i campi erano fortificati: in Siberia alcuni erano delimitati da semplici pali. La fuga veniva scoraggiata dai cani della polizia presenti in ogni gulag.


Le prime testimonianze

Tante sono le testimonianze sull’inferno dei gulag. La figura più celebre tra i condannati ai gulag è Alexandr Solženicyn. Arrestato nel 1945, visse in un campo di lavoro fino al 1956. Il suo romanzo Una giornata di Ivan Denisovic parlò per la prima volta della realtà dei gulag e la fece conoscere a tutto il mondo. Premio Nobel per la letteratura, Solženicyn fu espulso dall’Unione Sovietica per avere scritto Arcipelago Gulag, un libro di denuncia delle deportazioni e delle reclusioni nei campi di lavoro durante il regime di Stalin.


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Un raggio di speranza
Ecco alcuni passi della testimonianza di un sacerdote della Chiesa greco-cattolica di Romania, che fu recluso sedici anni nelle prigioni comuniste. Il suo nome è Tertulian Langa. La sua colpa fu di essere un fedele della Chiesa, vietata dalle autorità.

"Ricordo il giovedì santo dell´anno 1948. Da due settimane, ogni giorno, mi percuotevano con un ferro sulla pianta dei piedi, attraverso gli scarponi: dei fulmini mi percorrevano la spina dorsale e mi esplodevano nel cervello, senza però che mi fosse rivolta alcuna domanda. Per sopravvivere al freddo, io e i miei compagni di prigionia eravamo costretti a muoverci continuamente, a far ginnastica. Nel momento in cui cadevamo stremati dalla stanchezza e dalla fame, precipitavamo nel sonno; un sonno brevissimo, giacché il freddo era tagliente. Il padiglione, immerso nel silenzio lugubre della morte, risuonava sotto i nostri scarponi senza lacci. Ci fermavamo dal camminare solamente intorno alle 12,30, per una mezz´ora, quando il sole si fermava avaro per noi nell´angolo della stanza. Là, rannicchiato col sole sul viso, rubavo un fiocco di sonno e un raggio di speranza. Camminavo, dicendomi come in un ritornello, sillabando: «Non voglio morire! Non voglio morire!»."

Lo sterminio dei kulaki

Nelle campagne furono create aziende agricole statali (kolchoz) e aziende collettive gestite da cooperative di agricoltori (chiamate sovchoz). I risultati furono inizialmente disastrosi: nel 1932-1933 una gravissima carestia provocò milioni di morti. La colpa fu data ai contadini più ricchi (i kulaki), considerati nemici del comunismo. Essi infatti avevano cercato di opporsi alla decisione del governo di abolire la proprietà privata dei campi. Molti di loro arrivarono perfino a distruggere il raccolto e a uccidere il bestiame, piuttosto che consegnarli ai kolchoz. Stalin allora ordinò fucilazioni e deportazioni nei campi di lavoro forzato: milioni di kulaki furono sterminati.

L’annientamento degli oppositori

Il governo di Stalin era fondato sulla distruzione di ogni forma di opposizione, sul terrore e sui campi di concentramento in Siberia (chiamati gulag). Stalin non risparmiò i capi della rivoluzione che avevano una visione del comunismo diversa dalla sua. Nel 1936-1938, con le «grandi purghe», migliaia di dirigenti del Partito comunista, e con loro migliaia di ufficiali dell’Armata rossa, furono sottoposti a processi farsa e condannati a morte. Nel 1940 fu fatto assassinare Trotskij, uno degli eroi della rivoluzione del 1917. Espulso dal paese, si era rifugiato in Messico, dove lo raggiunsero i sicari di Stalin per ucciderlo. Alle epurazioni seguì un terrore diffuso: milioni di persone, condannate ai lavori forzati nei gulag, vi trovarono la morte.

In Francia resiste la democrazia

La democrazia resisteva in Francia e in Gran Bretagna. In Francia ci fu un tentativo di colpo di stato della Destra, cui le forze democratiche risposero con la politica del fronte comune. Il Partito comunista accettò di allearsi con i socialisti e i radicali nelle elezioni del 1936. L’alleanza, definita «Fronte popolare», vinse le elezioni e formò un governo presieduto dal socialista Léon Blum. Egli governò il paese per due anni, sventando la minaccia fascista e consentendo ai sindacati la conquista di importanti obiettivi (ferie retribuite, orario di lavoro di 40 ore settimanali, aumenti salariali).


Un carro carico di sacchi di grano requisiti ai kulaki. Sul carro vi sono la bandiera rossa e il ritratto di Stalin.

StoriaFacile 3
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