In Asia

La crisi degli stati coloniali

Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli stati europei persero le posizioni di rilievo internazionale che avevano occupato nei secoli precedenti e questo declino favorì il tramonto del colonialismo. Si verificò allora un importante fenomeno, chiamato «decolonizzazione». Questa parola indica due aspetti:
• la conquista dell’indipendenza politica ed economica delle colonie;
• la sostituzione nelle colonie dei governi guidati da europei con governi guidati da partiti e uomini politici del posto.

I movimenti anticoloniali

La decolonizzazione iniziò nell’Asia orientale (o Estremo Oriente), dove vi era stata l’espansione del Giappone che, tra il 1931 e il 1945, aveva conquistato ampi territori. La resistenza delle popolazioni contro l’occupazione giapponese risvegliò un sentimento nazionale e il desiderio di liberarsi dal dominio di un paese straniero. Nel 1945, alla fine della guerra mondiale (in cui il Giappone fu sconfitto), questo sentimento fu rivolto contro la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, tutte potenze che avevano interessi in Asia. Si formarono partiti anticoloniali, che conquistarono l’appoggio delle popolazioni locali. Molti dirigenti di quei partiti erano nati nei paesi asiatici, ma avevano studiato nelle università inglesi. Lì avevano imparato il valore della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza. Queste stesse idee servirono a denunciare lo sfruttamento dei loro popoli operato dagli europei colonizzatori. Alcuni partiti anticoloniali chiedevano per il loro paese il diritto di governarsi da solo, pur restando sotto la direzione degli stati coloniali europei (autonomia). Altri volevano una separazione completa (indipendenza).

La pacifica protesta di Gandhi

Nel 1945 il più vasto possedimento coloniale del mondo era costituito dall’India, colonia della Gran Bretagna. All’inizio del Novecento si formò un partito politico, il Congresso nazionale indiano, che cercava di ottenere l’indipendenza dell’India. Il suo capo, di nome Gandhi, guidò manifestazioni di protesta contro le leggi coloniali che negavano agli indiani i diritti di libertà. Gandhi usò i metodi della non-violenza, come il digiuno, le marce pacifiche, il rifiuto di pagare le tasse. La strategia di lotta politica di Gandhi era basata sull’idea che gli indiani non dovessero macchiarsi di violenza per dimostrare le proprie ragioni.

L’indipendenza genera altri conflitti

Dopo la Seconda guerra mondiale, il governo inglese cercò una soluzione pacifica alle richieste d’indipendenza della popolazione indiana. A questo storico traguardo si giunse nel 1947. Insieme all’indipendenza, fu decisa la divisione del territorio in due stati: l’India propriamente detta, a maggioranza induista, e il Pakistan, a maggioranza islamica. Questo stato era diviso in due parti tra loro separate da oltre 1500 km di distanza, poste a oriente e a occidente dell’India. La divisione tra India e Pakistan fu causa di violenti scontri che degenerarono in orrendi massacri. Il principale motivo di contesa era la sovranità sul Kashmir, per la quale si combatterono diverse guerre. Inoltre la parte orientale del Pakistan proclamò l’indipendenza, chiamandosi Bangladesh.

La Cina

In Cina, nel corso della Seconda guerra mondiale, si era stabilita un’alleanza tra i due principali partiti: i nazionalisti e i comunisti. Lo scopo era di fronteggiare i giapponesi invasori. Dopo la sconfitta del comune nemico, nazionalisti e comunisti tornarono a essere nemici tra loro in una vera e propria lotta armata per il potere. I nazionalisti, guidati da Chang Kai-Shek, avevano l’aiuto degli Stati Uniti, che volevano impedire la nascita di un grande stato comunista in Cina. Nonostante il supporto statunitense, i nazionalisti non riuscirono a fronteggiare i comunisti, guidati da Mao Zedong. Questi, nel 1949, lanciarono una grande offensiva militare. Occuparono le principali città e proclamarono la Repubblica popolare cinese, mentre il governo di Chang Kai-Shek si rifugiava nell’isola di Formosa (Taiwan).

Il comunismo cinese

La Cina, lo stato più popoloso della Terra, diveniva così una nuova potenza comunista, accanto all’Unione Sovietica, ma ben presto scelse una propria strada. A differenza di Stalin, Mao non aveva come obiettivo la rapida industrializzazione del paese. Al contrario, valorizzava le campagne e l’azione dei contadini, ai quali furono consegnate le terre. Nel 1960 Mao ruppe i rapporti di amicizia con l’URSS, nella convinzione che i due stati fossero profondamente diversi. Intanto rafforzò il suo potere in Cina, fino a divenire un capo assoluto.

LA MARCIA DEL SALE

Nel 1930 Gandhi lanciò un movimento di protesta basato sulla disobbedienza civile. Disobbedienza civile significa compiere violazioni pacifiche delle leggi ritenute ingiuste, senza opporsi a un eventuale arresto. In questo modo si denuncia pubblicamente l’ingiustizia a cui si è sottoposti. Nel 1930 Gandhi guidò con alcuni seguaci la marcia del sale. Percorse a piedi un lungo cammino fino al mare, dove raccolse alcuni cristalli di sale. Questo gesto era in realtà un reato, perché gli inglesi avevano il monopolio del sale in India. Nessun indiano poteva procurarselo, se non comperando quello venduto dagli inglesi. Il monopolio del sale era perciò un simbolo dell’oppressione del dominio coloniale.

CULTURA & stili di vita

Vivere nella Cina di Mao

Un paese povero e devastato
Quando Mao cominciò a governare sulla Cina, si trovò ad affrontare la difficile situazione di un paese rovinato dalla guerra e dal malgoverno. A capo del Partito comunista cinese, avviò un programma di trasformazione socialista. Le industrie e le banche divennero proprietà dello stato. Le terre furono distribuite ai contadini, che però furono costretti ad associarsi nelle comuni, che erano grandi aziende agricole controllate dallo stato. In seguito Mao impose alla Cina un programma di sviluppo industriale, che fu causa di gravi problemi per l’agricoltura. Un’impressionante carestia causò milioni di morti tra il 1958 e il 1961. Lo sviluppo industriale fu lento e la ricchezza dei cinesi non aumentò molto.

La lotta all’analfabetismo
La Cina che Mao trasformò in una potenza mondiale era già molto popolata, ma non quanto lo è oggi. Contava infatti circa un miliardo di abitanti, mentre oggi la popolazione cinese è intorno a 1,3 miliardi di persone. Essendo la Cina un grande paese agricolo, la sua popolazione viveva in maggioranza in villaggi di campagna. Nel 1949 quattro cinesi su cinque erano analfabeti. Mao iniziò una campagna per insegnare alle masse contadine a leggere e scrivere. Nel 1980 l’analfabetismo era ridotto al 5%, cioè solo più cinque cinesi su cento non sapevano leggere e scrivere.

La conquista dell’arma nucleare
Con la collaborazione di scienziati e tecnici sovietici, fin dagli anni Cinquanta la Cina lavorò per costruire la bomba atomica. Il possesso dell’arma atomica era considerato indispensabile affinché la Cina diventasse davvero una grande potenza. Nonostante la rottura con l’URSS, il progetto fu Asiarealizzato nel 1964. Questo avvenimento rendeva ancora più fragile la pace mondiale: infatti vi era un nuovo, grande stato che disponeva della bomba atomica. Ed era uno stato in contrasto sia con gli Stati Uniti (che erano un paese capitalista) sia con l’Unione Sovietica, che seguiva un modello comunista diverso da quello cinese.

La rivoluzione culturale
Nel 1965 Mao diede inizio alla cosiddetta rivoluzione culturale. Secondo lui, la Cina doveva seguire una via propria al socialismo, diversa da quella dell’URSS. Di conseguenza, eliminò tutti gli oppositori interni al Partito comunista, i quali erano favorevoli a rapporti di amicizia con i sovietici. A difesa della rivoluzione culturale c’erano le guardie rosse, composte soprattutto da studenti. Essi erano i più fedeli interpreti e difensori del pensiero di Mao, raccolto in un libretto rosso.

Il culto della personalità
Mao impose in Cina un regime dittatoriale. Il controllo dello stato sulle persone era assoluto. Imitando le scelte dei dittatori del Novecento, Mao introdusse il culto della sua persona. Volle farsi chiamare «grande timoniere» e si fece rappresentare come l’unico uomo in grado di guidare la Cina a grandi obiettivi. Quando Mao morì, nel 1976, gli costruirono un grande monumento funebre (mausoleo), in piazza Tienanmen, la piazza principale di Pechino.


Il mausoleo di Mao a Pechino.

La difficile indipendenza del Vietnam

Una sorte ancora più drammatica toccò alle colonie dell’Indocina francese (Vietnam, Laos, Cambogia) e in particolare al Vietnam. Il paese fu devastato da una guerra che, a fasi alterne, durò dal 1946 al 1975. Tutto ebbe inizio con il rifiuto della Francia di concedere l’indipendenza alla sua colonia vietnamita. Ciò spinse le forze vietnamite allo scontro armato, coronato da successo. Nel 1954 accordi internazionali stabilirono che la Francia si ritirasse e che il Vietnam fosse diviso in due stati: il Vietnam del Nord, comunista, con capitale Hanoi, e il Vietnam del Sud, sostenuto dagli Stati Uniti, con capitale Saigon.

La guerra coinvolge le superpotenze

In Vietnam l’equilibrio raggiunto nel 1954 si rivelò ben presto fragile, perché nel sud i guerriglieri comunisti (vietcong) cercarono di rovesciare il governo filoamericano, che aveva le caratteristiche di una dittatura. Ad appoggiare i vietcong intervenne lo stato nordvietnamita (al cui vertice vi era un capo prestigioso di nome Ho Chi Minh), intenzionato a riunificare i due paesi. Lo scontro coinvolse le due superpotenze, USA e URSS, che volevano il controllo dell’area. L’Unione Sovietica inviò armi e aiuti al Nord Vietnam e ai vietcong. Gli americani, invece, intervennero direttamente, con l’invio di soldati. Sul piano militare i guerriglieri vietnamiti erano favoriti sia dall’appoggio della popolazione sia dal fatto di operare in un territorio che conoscevano bene. Al contrario, nonostante l’uso dell’aviazione e di terribili armi (come le bombe al napalm), e malgrado l’invio di molti uomini (circa mezzo milione), gli americani incontrarono molte difficoltà.

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Una foto per fermare la guerra
Il napalm è un composto chimico che, usato come bomba, produce una morte terribile. Ha effetti ustionanti, aggravati dal fatto che si appiccica sul corpo e raggiunge una temperatura di 1200 gradi. Le conseguenze delle ferite sono mortali al 90%. Coloro che sopravvivono subiscono danni irreparabili al fisico. Fu proprio il napalm lanciato dagli americani che fece urlare di dolore la piccola vietnamita Kim Phuc. La fotografia della bambina, pubblicata sui giornali di tutto il mondo, fu una ferita alle coscienze e portò la gente a sentirsi in dovere di fare qualcosa per fermare la guerra. L’immagine fu scattata da Nick Ut, reporter di guerra.

Una guerra sempre più impopolare

Intanto la guerra diveniva impopolare negli Stati Uniti, dove soprattutto i giovani si opponevano all’intervento; anzi, guardavano con simpatia alla lotta di resistenza dei vietnamiti. L’alto numero delle perdite umane (a fine guerra saranno circa 60 000) rendeva l’opinione pubblica ancora più contraria all’impegno americano. Nel 1973, sotto la presidenza di Richard Nixon, gli americani avviarono trattative che consentirono il graduale ritiro delle loro truppe. Nel 1975 l’offensiva dei vietcong e dei nordvietnamiti, culminata nella conquista di Saigon, determinò la caduta del governo filoccidentale nel Vietnam del Sud. Poco dopo vi fu la riunificazione dei due stati sotto la direzione di un governo comunista.

LEGGERE le CARTE

La decolonizzazione in Asia
La carta riporta le date in cui i vari paesi asiatici ottennero l’indipendenza.

StoriaFacile 3
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