L’Italia di inizio Novecento

Lo sviluppo industriale

Negli ultimi anni dell’Ottocento, in Italia sorsero grandi fabbriche e la produzione industriale cominciò a crescere, avvicinandosi al livello di quella dei paesi più sviluppati d’Europa. L’industria siderurgica si affermò in poco tempo e crebbe notevolmente. Gli operai delle fonderie e delle acciaierie aumentarono da 15 000 a 50 000 in dieci anni. A Savona in Liguria, a Terni in Umbria, a Piombino in Toscana e a Bagnoli, vicino a Napoli, entrarono in esercizio grandi impianti per la produzione e la lavorazione del ferro e dell’acciaio. Dallo sviluppo dell’industria elettrica derivò la soluzione a una delle principali difficoltà economiche dell’Italia, ossia la mancanza di fonti energetiche (carbone, petrolio). Utilizzando l’acqua dei laghi e dei fiumi, convogliata in centrali idroelettriche, fu possibile produrre l’energia indispensabile per far funzionare le fabbriche, senza doverla acquistare all’estero. La maggiore disponibilità di energia elettrica permise l’illuminazione pubblica delle città e consentì di alimentare le prime linee elettrificate di treni e di tram.

Le industrie chimiche e meccaniche

Nella chimica si sviluppò in particolare l’industria della gomma, che aveva il suo punto di forza in alcuni stabilimenti di Milano. Lo stato era il principale cliente delle industrie meccaniche, perché acquistava navi per la marina militare, armi per l’esercito e treni per le ferrovie. L’Italia si mise al passo con il resto dell’Europa anche nell’industria automobilistica: le prime fabbriche di automobili furono aperte a fine Ottocento.

Poco sviluppo al Sud

Con l’avvio delle industrie i vecchi squilibri tra Nord e Sud dell’Italia aumentarono, poiché le fabbriche, che portavano lavoro, modernità e ricchezza, sorsero soprattutto al Nord, intorno alle città di Torino, Milano, Genova e Bologna. La rete dei trasporti nazionali (strade, ferrovie, linee di navigazione) fu rafforzata solo dove esistevano intense attività economiche, e cioè al Centro-Nord. Nel Sud furono fondate poche fabbriche moderne e anche l’agricoltura restò arretrata. 

L’organizzazione dei lavoratori

Anche in Italia, come negli altri stati industrializzati, gli operai delle industrie e i contadini delle campagne cominciarono a organizzarsi in sindacati e partiti per far valere i loro diritti e le loro richieste. La richiesta più importante era la giornata lavorativa di otto ore. Non solo i socialisti furono attivi nell’organizzare le proteste, ma anche i cattolici cominciarono a far sentire la loro presenza con le cooperative agricole e artigianali.

La crisi di fine secolo

Negli ultimi anni dell’Ottocento la vita nelle grandi città divenne peggiore per i più poveri. Ci fu un aumento dei prezzi dei generi alimentari, in particolare del pane, il principale alimento delle famiglie del popolo. Gli stipendi, al contrario, restavano sempre uguali. I sindacati proclamarono, in tutte le città del Nord, scioperi ai quali parteciparono migliaia di lavoratori. Per fermare le proteste, lo stato intervenne pesantemente. L’8 maggio del 1898 il generale Bava Beccaris, che comandava le truppe a Milano, fece fuoco sulla folla che era scesa a protestare nelle strade e nelle piazze. Subito dopo, la polizia arrestò i dirigenti socialisti e chiuse i giornali di opposizione al governo e le sedi dei partiti popolari.

LEGGERE le FONTI

Il successo della Pirelli
Un esempio di successo dell’industria italiana tra Otto e Novecento fu la Pirelli. Leggiamo che cosa scriveva nel 1916 l’industriale francese Bonnefon-Craponne.
"I modesti inizi della Pirelli risalgono al 1872. Lo stabilimento produceva articoli di caucciù per uso industriale. Nel 1877 venne ad aggiungersi la produzione di oggetti destinati alla chirurgia e all’igiene, degli impermeabili e degli articoli sportivi. Nel 1880 la produzione si allarga. Pirelli ha intuito l’imminente crescita dell’industria elettrica e si organizza per fabbricare fili e cavi isolanti. Poi intensifica la sua produzione nel settore dei pneumatici e il suo nome, notissimo in Italia, riesce a fare concorrenza alle migliori marche straniere."
1. Sottolinea nel documento i prodotti della Pirelli.

2. La Pirelli è un’industria:
siderurgica.
meccanica.
chimica.


Verso una maggiore democrazia

L’Italia si trovò allora in una situazione difficile. A renderla ancora più tesa intervenne l’attentato compiuto dall’anarchico Gaetano Bresci contro il re Umberto I, a Monza, nel luglio del 1900. Le proteste dei socialisti, e ancora di più gli attentati degli anarchici, facevano paura ai borghesi, ai proprietari terrieri e agli industriali. Molti di loro chiedevano un governo di emergenza, che fermasse le proteste con la forza. Al contrario, altri italiani volevano una svolta democratica: a loro giudizio, lo stato doveva capire le ragioni del malcontento del popolo e rispondere con un programma di riforme e di sviluppo. Fu questa la soluzione voluta dal nuovo re Vittorio Emanuele III, succeduto al padre Umberto I, morto per le ferite riportate nell’attentato. Nel 1901 il sovrano affidò la carica di primo ministro a Giuseppe Zanardelli, che era un liberale, moderato, favorevole alle riforme, contrario alla repressione delle proteste.

Giovanni Giolitti

Nel governo Zanardelli, la carica di ministro degli Interni fu affidata a Giovanni Giolitti. Nel 1903 Giolitti fu nominato primo ministro e, con alcuni periodi di interruzione, rimase a capo del governo fino al 1914. Giolitti era un moderato, quindi aveva in Parlamento il sostegno dei conservatori. Tuttavia, per il suo atteggiamento aperto alle riforme, ottenne l’appoggio anche di alcuni settori del Partito socialista, guidato da Filippo Turati. Turati era un socialista riformista, che rifiutava le posizioni dei rivoluzionari e degli anarchici. Perciò decise che il suo partito doveva appoggiare il governo tutte le volte che prendeva provvedimenti giudicati utili all’Italia e, in particolare, ai lavoratori italiani.

La neutralità tra capitale e lavoro

Nella sua carica di primo ministro, Giolitti inaugurò un nuovo modo di affrontare le proteste dei lavoratori e gli scioperi. Non fece intervenire il governo, non mandò esercito e carabinieri a disperdere con la forza gli scioperanti. Lasciò che industriali e operai risolvessero da soli i loro conflitti. Pensava che in tal modo l’Italia sarebbe divenuta un paese al passo con l’Europa. Gli industriali avrebbero capito l’importanza di riconoscere miglioramenti di salario e diritti sindacali: avendo più soldi, le famiglie operaie avrebbero acquistato più prodotti e, di conseguenza, la produzione industriale sarebbe cresciuta. Gli operai non avrebbero più visto nel governo e negli industriali i loro nemici. Nel 1904 le idee di Giolitti furono messe alla prova. Poco tempo prima, in Sardegna, durante una manifestazione contadina, c’erano stati alcuni morti a causa degli scontri con la polizia: fu quindi proclamato lo sciopero generale, molto temuto perché in presenza di molti manifestanti il rischio di incidenti e violenze era ancora più alto. Questa volta, per ordine del governo, la polizia si limitò a controllare senza intervenire. La giornata di sciopero passò senza incidenti e la politica del governo si dimostrò valida.

Tra sviluppo e arretratezza

I dieci anni in cui Giolitti diresse il governo furono anni di crescita economica per l’Italia. Ci fu grande sviluppo, e molti cittadini poterono aumentare il loro livello di vita. Ad esempio, migliaia di italiani poterono per la prima volta sostenere spese un tempo impossibili, come acquistare un appartamento, fare studiare i figli, pagarsi una vacanza. Non fu però così per tutti. Per molti, soprattutto per i contadini più poveri, emigrare all’estero rimase l’unica soluzione per trovare lavoro. Tra il 1900 e il 1914 ben otto milioni di italiani si imbarcarono per l’America o si trasferirono nei paesi più avanzati dell’Europa. Dal Sud gli emigranti si dirigevano prevalentemente in America. Dal Nord emigravano verso i paesi europei per svolgere lavori stagionali.

Aiuti al Sud e leggi per i lavoratori

Con Giolitti furono attuate alcune importanti riforme, come le prime leggi speciali per il Mezzogiorno. Nelle regioni del Sud, in Sicilia e in Sardegna furono concesse riduzioni delle tasse e prestiti agevolati alle imprese. In questo modo lo stato incoraggiava lo sviluppo nelle aree meno industrializzate. Fu poi fatta una legge speciale per Napoli, grazie alla quale lo stato finanziò il completamento del grande centro siderurgico di Bagnoli, destinato a diventare una delle più importanti industrie del Sud Italia. Un’altra riforma fu la statalizzazione delle ferrovie (1905). Giolitti decise che lo stato doveva acquistare le ferrovie, che fino a quel momento erano tutte di proprietà privata, perché i trasporti erano un servizio di primaria importanza per il paese, e andavano quindi controllati direttamente dallo stato. Inoltre furono approvate leggi che garantivano le pensioni di invalidità e di vecchiaia per i lavoratori: era il primo importante provvedimento di legislazione sociale introdotto in Italia.

Cresce la partecipazione politica

Già da tempo diversi partiti chiedevano che fosse dato il diritto di voto a un maggior numero di italiani. Nel 1912 il Parlamento approvò una legge elettorale presentata da Giolitti, che stabiliva il suffragio universale maschile: tutti i cittadini di sesso maschile che avevano compiuto trent’anni avevano il diritto di votare. I cittadini con meno di trent’anni potevano votare solo se avevano prestato il servizio militare o se disponevano di un certo reddito oppure se lavoravano alle dipendenze dello stato. Fu invece respinta la proposta di estendere il voto alle donne.

STORIA & memoria

L’invenzione dello sport

All’inizio del Novecento in Italia, come in tutta Europa, si manifestò un nuovo fenomeno: la passione per lo sport. Scherma e ciclismo, calcio e boxe coinvolsero gli italiani, che cominciarono a diventare tifosi dell’uno o dell’altro campione, dell’una o dell’altra squadra.

La scherma
L’Italia aveva una grande tradizione nella scherma, considerata una disciplina indispensabile all’addestramento degli ufficiali dell’esercito. Furono proprio i militari a organizzare le prime scuole di scherma (poi aperte anche a chi non era militare) e le prime competizioni internazionali. Nella scherma l’Italia conseguì numerosi successi nelle Olimpiadi, a partire da quella di Parigi dell’anno 1900.

Giovani ufficiali si allenano a tirare di scherma (dipinto del 1900).

Parte il Giro d’Italia
Intanto gli italiani cominciavano a seguire le gare di uno sport nuovo, il ciclismo. Le strade non ancora asfaltate e le biciclette pesanti imponevano uno sforzo massacrante agli atleti. Alcune gare erano così lunghe che non potevano concludersi in un solo giorno. Una formula spettacolare fu inventata all’inizio del ‘900: la corsa ciclistica a tappe. Iniziarono i francesi con il Tour de France (1903), seguiti dagli italiani con il Giro d’Italia. Il primo Giro d’Italia (1909) fu vinto da Luigi Ganna, un ex muratore che da ragazzo si era «fatto i muscoli» percorrendo 100 km al giorno per andare e tornare dal lavoro.

Il football
Lo inventarono gli inglesi nel 1863 e qualche decennio più tardi il football (il nostro calcio) era già praticato in tutta Europa. Nel 1898 si disputò a Torino il primo campionato, con la partecipazione di sole quattro squadre. Vinse il Genoa. Da allora il campionato italiano si disputò ogni anno, con una sola interruzione negli anni 1943 e 1944, a causa della guerra.

La boxe
Anche la boxe, il nostro pugilato, fu importata dall’Inghilterra. Era un antico sport che si praticava a pugni nudi e senza regole. Gli inglesi gli diedero regole: l’uso dei guantoni, un tempo prestabilito per gli incontri, diviso in riprese (round) di tre minuti, la sconfitta decretata dal giudice quando un pugile, caduto a terra, non si rialza entro dieci secondi.

Sport e industria
Lo sport divenne un autentico mestiere. Gli atleti erano pagati dalle società sportive, che si comportavano come vere industrie: stipendiavano i dipendenti, costruivano impianti, organizzavano campionati, vendevano pubblicità e fondavano giornali. Nel 1895 fu stampato a Milano il primo numero della «Gazzetta dello sport», il più antico quotidiano sportivo d’Italia.

Il patto Gentiloni

Prima delle elezioni del 1913 Giolitti, laico e liberale, firmò un accordo politico con un deputato cattolico di nome Vincenzo Gentiloni. In base a esso, i cattolici erano disposti a votare per quei candidati liberali che si fossero impegnati su due questioni che stavano molto a cuore alla Chiesa: il divorzio e l’insegnamento. I cattolici si opponevano all’ipotesi di approvare il divorzio in Italia, come volevano alcuni gruppi di Sinistra; inoltre chiedevano che la religione cattolica fosse introdotta come insegnamento obbligatorio nelle scuole elementari di tutto il Regno d’Italia.

Programmi nuovi, metodi vecchi

Giolitti, a capo del governo, favorì una più ampia partecipazione del popolo alla politica e un miglioramento delle condizioni di vita degli italiani. Era convinto che lo stato italiano doveva diventare più democratico, in modo che anche operai e contadini, prima di allora esclusi dalla vita politica, potessero partecipare attivamente tramite i loro partiti e i loro sindacati. Tuttavia i metodi che usò per governare furono di vecchio stile e non sempre onesti. Per avere la maggioranza in Parlamento, Giolitti «comperava » il voto dei deputati, cioè li pagava per farli votare in suo favore. Prima delle elezioni faceva appoggiare dalle autorità locali dello stato, cioè il prefetto e il questore, i candidati a lui fedeli. Se il candidato di sua fiducia era anche amministratore comunale, a quel comune arrivavano da Roma considerevoli finanziamenti per realizzare opere pubbliche, come strade e scuole.

LEGGERE le FONTI

Un sarto che deve vestire un gobbo
Riportiamo un brano di una lettera che Giolitti scrisse alla figlia nel 1896. Ne emerge la sua visione molto realistica della politica, intesa come scelta del «male minore». La «gobba» di cui parla Giolitti con la metafora del sarto rappresenta i difetti, gli egoismi e le ignoranze degli uomini. Il «vestito» sono le azioni di governo e le leggi. Per coprire la gobba, serve un vestito che abbia anch’esso una parte sporgente, una qualche stortura: ecco il «male minore» a cui allude Giolitti, azioni politiche imperfette per dare all’imperfetta Italia il governo migliore possibile.
"Mettiti in capo questo: che gli uomini sono quello che sono, in tutti i tempi e in tutti i luoghi con i loro vizi, i loro difetti, le loro passioni, le loro debolezze; e il governo deve essere adatto agli uomini come sono; certo il governo deve mirare a correggere, a migliorare, ma anch’esso è composto di uomini, e l’uomo perfetto non esiste. Il sarto che ha da vestire un gobbo, se non tiene conto della gobba non riesce. Purtroppo non vi è ora la scelta fra il bene e il male, ma fra mali diversi, e questo è il lato più triste della vita politica."


IL DIVORZIO IN ITALIA

Il divorzio era già stato introdotto da Napoleone all’inizio dell’800. Pertanto il divorzio divenne legale in tutti gli stati che facevano parte dell’Impero napoleonico. Dopo la caduta di Napoleone, la legge fu cancellata. All’inizio del ‘900 il divorzio era previsto da diversi stati europei, tra cui due a maggioranza cattolica, il Belgio e la Francia. In Italia sarà introdotto solo nel 1970.

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