L’Italia e la politica di potenza

Una svolta nelle alleanze

In politica estera, da oltre vent’anni l’Italia era legata a un accordo con l’Austria e la Germania (la Triplice Alleanza, stipulata nel 1882). All’inizio del Novecento Giolitti cambiò totalmente questa politica, avvicinando l’Italia alla Francia e staccandola dalla Triplice Alleanza. Firmò un’intesa con la Francia per stabilire una comune linea d’azione nel Mediterraneo: l’Italia riconobbe alla Francia la libertà di colonizzare il Marocco, e in cambio ottenne che la Francia appoggiasse la guerra di conquista coloniale italiana in Libia, una zona non ancora colonizzata, dipendente dall’Impero ottomano.

I nazionalisti

In Italia intanto aumentavano i sentimenti anti-austriaci che risalivano al Risorgimento, quando l’unificazione della penisola era stata realizzata contro l’Austria. Si formarono gruppi politici chiamati «nazionalisti», che aspiravano a un ingrandimento territoriale dello stato italiano a spese dell’Austria. I nazionalisti volevano che l’Italia conquistasse il Trentino e la Venezia Giulia, due regioni abitate da italiani ma ancora appartenenti all’Impero austro-ungarico. Al tempo stesso, i nazionalisti volevano che l’Italia riprendesse la politica coloniale. Erano convinti che la conquista della Libia avrebbe portato due importanti risultati:
1. dare lavoro a migliaia di italiani, che si sarebbero trasferiti nella nuova colonia;
2. fare dell’Italia una grande potenza, come gli altri paesi europei che possedevano colonie (Inghilterra, Francia e Germania). 

La Libia, colonia italiana

Giolitti assecondò le richieste dei nazionalisti. Nel 1911 l’Italia dichiarò guerra all’Impero ottomano e inviò soldati in Libia. Il corpo di spedizione italiano era formato da 35 000 soldati, saliti poi a 100 000. Era dotato dei primi aeroplani impiegati per scopi di guerra. I soldati sbarcarono sulle coste libiche e si diressero verso le città di Tripoli e Bengasi, che furono occupate dopo aspri combattimenti. Un contrattacco dei libici provocò la morte di quasi 400 bersaglieri italiani. Seguì una feroce rappresaglia, che colpì anche la popolazione civile. Non mancarono episodi brutali di violenza e di uso di armi contro la popolazione. L’atteggiamento dei militari italiani suscitò lo sdegno dei giornali internazionali e provocò un’intensificazione della guerriglia dei libici, che rese l’avanzata molto più lenta del previsto.

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Un deserto di sangue
La guerra in Libia divise gli italiani. A favore si schierarono alcune banche, che avevano investito in Libia, nella speranza che diventasse colonia italiana. Il giornale più autorevole, il «Corriere della Sera» di Milano, appoggiò la guerra. E così fecero una parte dei cattolici e una parte dei socialisti. Molti pensarono che la Libia servisse a dare lavoro ai disoccupati, che non avrebbero più dovuto emigrare. La maggioranza dei socialisti invece contrastò la guerra. Il giornale satirico «L’Asino», socialista, pubblicò alcune vignette contro la guerra. Esaminiamone una.

Il contadino, arrivato dall’Italia per lavorare in Libia, avanza in un deserto disseminato di cadaveri. La morte, avvolta in un manto bianco e impugnando la falce, fa strada al contadino. La vignetta vuole suggerire due cose:
1. il territorio della Libia è in prevalenza desertico, perciò è privo di materie prime utili all’industria ed è inadatto all’agricoltura;
2. la conquista della Libia è stata pagata con un prezzo altissimo di morti, sia libici sia italiani.

Vantaggi e svantaggi

La conquista della Libia non fu vantaggiosa per due ragioni. In primo luogo, i soldati italiani trovarono una forte resistenza nelle tribù locali: la guerra fu difficile, costosa e sanguinosa, e l’occupazione non si poté spingere oltre la costa. In secondo luogo, in Libia non furono trovate risorse. Fu definita «un enorme scatolone di sabbia»: il territorio non era adatto all’agricoltura e, a quell’epoca, non si sapeva dell’esistenza nel sottosuolo libico di giacimenti di gas e di petrolio, che sarebbero stati scoperti solo molto più tardi. La conquista realizzava comunque uno scopo militare e di prestigio internazionale. Serviva ad assicurare la presenza italiana nel tratto di Mediterraneo che mette in comunicazione la parte occidentale con quella orientale. Inoltre furono soddisfatti i nazionalisti e chi pensava che possedere una colonia significasse essere una grande potenza.

Giolitti si dimette

Dopo la guerra in Libia, Giolitti si trovò in difficoltà perché, benché avesse sostenuto l’intervento militare dell’Italia, aveva anche collaborato con i socialisti, contrari alla guerra. I nazionalisti lo accusarono di troppe simpatie verso il Partito socialista e nel 1914 Giolitti diede le dimissioni. Al suo posto fu nominato capo del governo il conservatore Antonio Salandra. Intanto la situazione del paese era peggiorata in seguito alla crisi economica: molte fabbriche erano state costrette a chiudere ed era aumentata la disoccupazione.

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La Libia italiana
La carta mostra i territori conquistati dagli italiani in Libia e nel Mediterraneo, dopo la guerra vittoriosa contro la Turchia. La conquista italiana della Libia si fermò sulla costa e fu duramente contrastata dalla resistenza delle popolazioni locali.

StoriaFacile 3
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