Dalla scoperta alla colonizzazione

La divisione del Nuovo Mondo

Il successo del viaggio di Colombo del 1492 convinse i re di Spagna e di Portogallo, i due paesi che avevano iniziato le scoperte geografiche, ad accordarsi tra loro. Con il trattato di Tordesillas (1494), decisero di dividersi il Nuovo Mondo, cioè le terre appena scoperte e quelle che avrebbero scoperto in futuro. I loro geografi tracciarono sulle carte una linea che chiamarono raya («linea», in spagnolo). Le terre a occidente della raya furono attribuite alla Spagna, quelle a oriente al Portogallo.

Scoprire per colonizzare

Lo scopo dei viaggi transoceanici non si limitò alla conoscenza di un mondo nuovo, abitato da genti con una cultura diversa da quella degli europei. Conquistare e sfruttare quel mondo e quelle genti fu l’obiettivo fondamentale. Per questo motivo iniziò la colonizzazione. Questa parola indica i seguenti fattori:
• trasferimento di europei in America e popolamento del territorio;
• sfruttamento delle risorse naturali (minerali, piante, terra da adibire all’agricoltura) e umane (lavoro obbligatorio dei nativi nelle miniere e nei campi);
• passaggio delle terre scoperte sotto il governo degli europei;
• introduzione di stili di vita e leggi di carattere europeo.
La colonizzazione in America si realizzò in breve tempo. Già il secondo viaggio di Colombo rappresentò un’impresa coloniale, e non solo un viaggio di esplorazione. Infatti la flotta salpata nel 1493 era formata da 17 navi e 1200 uomini di equipaggio. C’erano soldati, nobili, contadini, monaci, donne, bambini, e in mezzo a loro animali da cortile, cavalli e mucche, abiti, stoviglie, attrezzi da lavoro. Si trattava di un pezzo piccolo, ma completo, di società spagnola che si trasferiva nel Nuovo Mondo per fondarvi una colonia.

La conquista del Messico

Nel secondo decennio del Cinquecento gli spagnoli iniziarono a esplorare le zone interne del continente americano. Il primo tentativo di sfruttamento delle risorse americane si realizzò tra il 1519 e il 1521 con la conquista del Messico. La effettuò il conquistador Hernán Cortés, un nobile che in soli tre anni, alla guida di una banda di soldati di ventura, annientò l’impero degli Aztechi, il popolo che governava il Messico.
L’uso dei cavalli, delle corazze e della polvere da sparo (tutte cose sconosciute agli indios) consentì agli spagnoli di sconfiggere gli Aztechi, nonostante questi ultimi fossero in numero nettamente superiore. Uomini «pallidi come la luna, coperti di metallo, su enormi animali sconosciuti, con strane lance senza punta che sputano fuoco, che eruttano fiamme e distruggono tutto fino a mille passi»: così apparvero gli uomini di Cortés a Montezuma II, imperatore degli Aztechi.
Cortés, che disponeva soltanto di 550 uomini, 16 cavalli e 10 cannoni, raggiunse Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi. Era una città magnifica e, con i suoi 100 000 abitanti, era una delle più grandi del mondo.
Cortés esortò gli indios a giurare fedeltà alla Spagna, e fece abbattere i templi e le statue delle loro divinità. Al loro posto, mise le immagini della Vergine e di Gesù e fece celebrare la messa. Quindi, per vincere la loro resistenza, ordinò il massacro di centinaia di indios. Con la violenza e con l’aiuto di popolazioni locali ostili agli Aztechi, prese la capitale e uccise Montezuma. La conquista non si limitò al piano militare. In poco tempo gli spagnoli imposero cambiamenti totali nella società azteca. La loro religione fu soppressa, le loro ricchezze furono depredate.

L’avanzata degli spagnoli

L’avanzata degli spagnoli procedette poi verso l’America centrale, nell’area dei Maya. Quindi si diresse nel Sud America, nella zona degli Inca. Protagonisti di questa espansione furono i conquistadores Francisco Pizarro e Diego de Almagro. Nel corso di due spedizioni, Pizarro esplorò la costa dell’America meridionale che si affaccia sull’oceano Pacifico, dove fu informato dell’esistenza dell’Impero inca nei territori degli attuali Perú, Cile, Ecuador, Bolivia. Il re di Spagna Carlo V gli riconobbe il diritto di conquista.
Nel 1531, alla testa di 180 uomini, Pizarro partì per il Perú, dove nel 1535 conquistò l’impero degli Inca. Dopo averlo catturato con l’inganno, uccise il sovrano inca Atahuallpa e fondò la città di Lima, la nuova capitale.
Al suo seguito, Diego de Almagro rivendicò il diritto di amministrare una parte dei territori peruviani, ma Pizarro glielo negò. Ne derivò una vera e propria guerra tra i due conquistadores, nel corso della quale entrambi rimasero uccisi.

E IL MESSICO DIVENTÒ LA «NUOVA SPAGNA»

Una manifestazione della presa di possesso di nuove terre consisteva nell’uso di ribattezzare i luoghi. Colombo ribattezzò isole, baie, villaggi, a cominciare da San Salvador, l’isola in cui sbarcò nel 1492. Cortés cambiò il nome dei territori dell’Impero azteco in Nuova Spagna. Pizarro chiamò l’attuale Perú Nuova Castiglia. In altri casi fu mantenuto il nome precedente, con o senza aggiustamenti. Cuba, che era il nome indigeno, rimase tale. Qosqo, la capitale degli Inca, divenne Cuzco. Le città fondate dagli spagnoli presero nomi europei. Fu il caso di Vera Cruz, un porto del Messico.

Una montagna d’argento

Mano a mano che giungevano in Spagna le notizie sulle conquiste, la spinta a emigrare si fece più forte. Nel XV secolo 250 000 spagnoli emigrarono in America, con una media annua di 2000-2500 partenze. L’attraversamento dell’oceano non era certo a buon mercato, perciò molti emigranti dovevano vendere tutto prima di partire. Per sostenere le spese del viaggio, molti lavorarono come servitori dei passeggeri più ricchi.
I re spagnoli intendevano sfruttare lo sconfinato possedimento coloniale, ricavandone soprattutto metalli preziosi da portare in Europa. Gli indios furono utilizzati nelle miniere, dove lavoravano in condizioni disumane per estrarre oro e argento. La scoperta di giacimenti d’oro nel Messico aumentò il richiamo del facile guadagno. In Perú fu trovata una straordinaria montagna d’argento nella zona di Potosí, nelle Ande orientali. La conseguenza di questa scoperta fu che l’argento divenne la risorsa mineraria più richiesta dell’impero spagnolo in America.
Inoltre furono introdotte piantagioni di canna da zucchero, nelle quali cominciarono a lavorare schiavi neri prelevati dalle coste dell’Africa. I coloni importavano dalla Spagna tutto ciò che era mancante in America: attrezzature di lavoro, armi, abiti, vino, olio. La Spagna, però, non riusciva a produrre tali beni in quantità sufficienti. Per tale motivo si formò un mercato irregolare fatto da contrabbandieri, pirati, mercanti clandestini.

La minaccia dei corsari inglesi

Mentre la Spagna sfruttava le terre americane, i re di Inghilterra e i loro uomini di mare cercarono di mettere le mani su quelle ricchezze. I notevoli quantitativi di oro e di argento provenienti dal Perú e dal Messico e immagazzinati sulle navi spagnole rappresentavano un allettante bottino.
Un’altra fonte di guadagno per gli inglesi erano gli schiavi africani, che cominciavano a essere deportati in America per farli lavorare nelle piantagioni e nelle miniere. Il commercio degli schiavi e gli assalti alle navi spagnole furono praticati dai corsari inglesi, al servizio della monarchia. Tra questi si segnalò Francis Drake. Nel 1573 con i suoi uomini saccheggiò i porti spagnoli nella zona di Panama e catturò un intero convoglio di navi cariche di argento. Continuò le sue imprese attuando la circumnavigazione del globo, a nome della sua regina, Elisabetta I d’Inghilterra. Dopo Magellano, fu il secondo uomo al mondo a compiere l’impresa. In questo modo l’Inghilterra mostrò di essere all’altezza della Spagna nella navigazione negli oceani.

La Chiesa e le missioni

La Chiesa cattolica fu presente nelle colonie americane, allo scopo di convertire gli indios e di svolgere i suoi compiti religiosi tra i coloni europei. Furono costruite chiese e conventi; furono nominati vescovi e parroci. Soprattutto sorsero le missioni affidate agli ordini religiosi dei domenicani, dei francescani e dei gesuiti. Nei missionari che arrivarono in America la religiosità degli indios suscitò reazioni contrastanti. Essi videro che alcune popolazioni praticavano riti simili a quelli cristiani. Gli Aztechi credevano in un dio creatore del mondo e nell’esistenza dell’aldilà. Per tale motivo i missionari trattarono gli indios come esseri umani a tutti gli effetti e non come creature inferiori. Rimasero invece inorriditi di fronte ai riti che prevedevano il cannibalismo o il sacrificio di vite umane.
Di fronte alle violenze subite dagli indios per mano dei conquistatori spagnoli, alcuni religiosi denunciarono le atrocità e cercarono di difendere i nativi. Fu il caso del frate domenicano Bartolomeo de Las Casas, che prese posizione a favore degli indiani scrivendo un’opera dal titolo Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie (1542). Questo libro era un atto di accusa contro la spietatezza e la violenza degli spagnoli.

I gesuiti

Un ruolo importante fu svolto dall’ordine religioso dei gesuiti. Essi fondarono delle comunità, chiamate riduzioni. Al loro interno ogni aspetto della vita degli indios, dal lavoro ai culti religiosi, era organizzato come se quei territori non facessero parte dei domini della Spagna. In quei villaggi per i soldati e per i funzionari spagnoli non era facile mettere piede. Nei villaggi governati da sacerdoti gesuiti, i prodotti del lavoro venivano divisi tra gli indiani e non vi era servitù. Inoltre i gesuiti si dedicarono allo studio delle lingue parlate prima dell’arrivo degli spagnoli, contribuendo così a salvare almeno il ricordo di quelle civiltà che i coloni stavano distruggendo.

STRUMENTI di STUDIO

OGNUNO È IL BARBARO DELL’ALTRO
Bartolomeo de Las Casas, il frate domenicano che difese gli indios dalle violenze degli spagnoli, mise in evidenza come il concetto di «barbaro», cioè di primitivo, sia del tutto relativo.
Ogni uomo è «barbaro» agli occhi di un altro, che parla una lingua diversa o che ha una cultura differente.

"Chiameremo barbaro un uomo rispetto a un altro, perché gli è estraneo il suo modo di parlare e perché pronuncia male la lingua dell’altro. Non esiste uomo che non sia barbaro rispetto a un altro uomo, o razza che non lo sia rispetto a un’altra razza. Come dice San Paolo: «Se io non capisco una certa lingua, sarò un barbaro per colui che la parla, e colui che la parla sarà un barbaro per me». Così, se prendiamo in considerazione i popoli barbari delle Indie, essi ci giudicano allo stesso modo perché non ci capiscono."

Lo stesso ragionamento si può applicare al concetto di civiltà. Non esiste «la civiltà», né una civiltà superiore alle altre. Esistono civiltà diverse, ognuna con le sue caratteristiche: tutte devono cercare di conoscersi e di comprendersi.

Portogallo: l’impero dei mari

Intanto che la Spagna si orientava alla colonizzazione dell’America, il Portogallo procedeva verso l’Asia. Visto il successo del viaggio in India di Vasco da Gama, i re portoghesi inviarono in Oriente navigatori, commercianti e comandanti militari, incaricandoli di costruire un impero commerciale. In India i loro avversari - sultani e principi - erano molto più temibili di quanto non fossero gli Aztechi e gli Inca in America. Per questo motivo i portoghesi non cercarono di conquistare il paese con le armi. Si impossessarono di alcuni porti, come Goa in India e Colombo nell’isola di Ceylon. Stabilirono accordi commerciali con le comunità locali, cacciando i mercanti arabi che fino ad allora avevano controllato il commercio dei prodotti diretti in Europa. Si spinsero in Estremo Oriente e si inoltrarono nei mari della Cina e del Giappone.

I portoghesi in Cina

Nel corso del XVI secolo (1500-1599) i portoghesi realizzarono il loro progetto di controllare il commercio tra Europa e Oriente, in particolare quello delle spezie. Essi conquistarono alcune zone costiere dell’India, in cui costruirono fortificazioni, attracchi per le navi e centri per il commercio, come banche e sedi di società commerciali. I re del Portogallo imposero il loro monopolio sul commercio con l’Oriente. Ciò significa che a nessuno era permesso di esercitare tale commercio senza l’autorizzazione del re.
Mentre in America gli spagnoli conquistavano il Messico, in Asia i portoghesi stabilivano un contatto diretto con gli imperatori cinesi. Nel 1513 il re del Portogallo inviò suoi rappresentanti alla corte dell’imperatore Zhengde. Bene accolti dall’imperatore, i portoghesi poterono stabilire relazioni commerciali, che si consolidarono nel 1557, quando al Portogallo venne dato il porto di Macao. A Macao arrivarono alla fine del ‘500 i missionari gesuiti, che furono i primi sacerdoti cattolici accettati in Cina.

LEGGERE le CARTE

La carta mostra i possedimenti coloniali portoghesi e spagnoli alla metà del XVI secolo.
Gli spagnoli crearono un impero coloniale in America centrale e meridionale, che comprendeva all’incirca i territori dove si erano sviluppate le civiltà di Inca, Aztechi e Maya.
I portoghesi occuparono soltanto alcune zone limitate sulle coste dell’Africa e del Brasile e alcune città portuali in Asia, e precisamente in India, Indonesia e Cina.

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